È nell'indignazione ad una recensione, che trova forza in Italia un movimento indignato già da anni, ma in silenzio. Primavera 1971 è l'Italia degli Anni di Piombo e degli opposti estremismi, l'Italia che non dà ancora spazio, nelle sue piazze, alle manifestazioni a difesa dei diritti della comunità omosessuale LGBT. In quella primavera il 15 aprile il quotidiano La Stampa pubblica una recensione al saggio "Diario di un omosessuale" dello psichiatra Giacomo Dacquino. Un testo di fatto nato dal furto dell'intimità di una confessione privata di un suo paziente omosessuale guarito, oggi si fa fatica anche solo a scriverlo, e diventato eterosessuale grazie alle terapie. "L'infelice che ama la propria immagine", era invece il titolo della recensione di quel saggio. Un saggio grazie al quale si accese la miccia della necessità di dire basta alla luce del sole e di dirlo tutti insieme. Nei sotterranei della libreria di Angelo Pezzana, si comincia a preparare il numero zero della rivista Fuori Fronte Unitario Omosessuale Rivoluzionario Italiano, che uscirà, nel suo primo numero a dicembre, liberando definitivamente l'indignazione dalle catene del silenzio. Su quella rivista orgogliose sfilavano le firme di molti redattori Einaudi, di intellettuali, di cittadini torinesi. Fuori, usciva esattamente 50 anni fa, forse anche sulla scia della rabbia esplosa qualche anno prima, era il 1968, il 28 giugno allo Stonewall Inn, un locale del Greenwich Village di New York, cuore della controcultura americana di quegli anni, dopo l'ennesima retata della buon costume. Sylvia Riveira, una ragazza transgender fu la prima a ribellarsi ed è ancora oggi riconosciuta come il simbolo dei moti di Stonewall, primo atto di nascita del movimento omosessuale contemporaneo, che poi diventò un movimento mondiale.