La sera del 3 novembre 2018, la famiglia Giordano stava festeggiando un compleanno a Casteldaccia, in una casa costruita nell'alveo del torrente Milicia, un fiume solitamente a secco che quella notte sollevò un'onda alta 7 metri e non lasciò scampo a chi era all'interno. Una costruzione che non avrebbe dovuto esserci, colpita da un'ordinanza di demolizione, come tante altre e mai eseguita. Morirono in nove, tra cui due bambini. È la tragedia alluvionale in Sicilia, più grave degli ultimi decenni, dopo quella che nel 2009 provocò 37 morti tra Giampilieri e Scaletta Zanclea nel messinese, travolti da una montagna di fango. Una tragedia diventata l'emblema di un territorio fragile, con molte zone ad alto rischio dissesto, soprattutto lungo la costa che in Sicilia si estende lungo 1.500 km e dove ogni anno nei mesi autunnali, le piogge abbondanti arrivate dopo la siccità estiva, si trasformano in alluvioni. "È un problema che nasce dall'aver costruito in tempi anche abbastanza datati, delle abitazioni in delle zone che geologicamente e geomorfologicamente, sono delle aree classificate a rischio e quindi l'unica arma che abbiamo a disposizione per evitare delle tragedie annunciate è quello di non costruire nulla in quelle aree o al limite, delocalizzare". "E poi c'è il tema dei fondi, stanziati ma spesso non utilizzati per mettere in sicurezza i territori". "Noi abbiamo appaltato circa 450 interventi per 800 milioni di euro, ci sono dei cantieri che sono già completati, stiamo intervenendo in delle zone come Casteldaccia, stiamo intervenendo a Messina, a Catania nelle zone dell'agrigentino. Abbiamo delle province, che per loro conformazione sono anche molto fragili. Non è facile intervenire su tutto, oggi dobbiamo cercare di incominciare a ragionare sulla prevenzione, solo così probabilmente incominceremo a evitare di dover sempre intervenire con emergenza".