“Il caso della Emma non è un caso isolato. Stiamo portando avanti, insieme – lo ripeto – a questa task force, creata con giustizia, esteri e ovviamente con il Ministero dell’interno, questa politica di portare in patria questi bambini sottratti da uno dei genitori. Da un punto di vista investigativo, non ritengo sia una grande cosa. Ritengo, invece, sia una grande cosa il trattare questi casi nella maniera dovuta”. Un perfetto gioco di squadra: è quel che ha permesso di rintracciare la piccola Emma in territorio di guerra e riportarla in Italia. A spiegarlo è proprio chi dirige il servizio di cooperazione tra le polizie. La chiave di volta delle indagini sono stati l’arresto e l’estradizione del padre della bambina, Mohamed Kharat, lo stesso che cinque anni fa, con la scusa di portarla alle giostre, l’aveva rapita e portata ad Aleppo, la città martire del conflitto siriano. “Non nascondo che vi sono stati anche dei contatti con un nostro dirigente che ha tenuto dei rapporti diretti con alcuni familiari. Abbiamo rappresentato la necessità che questa bimba non continuasse a stare in zona di guerra, sotto i bombardamenti”. Fondamentale nelle ricerche, dunque, è stata la collaborazione dei familiari dell’uomo, che, una volta convinti e assistiti dagli inquirenti, hanno indicato come arrivare alla bimba. Quindi, il lieto epilogo della vicenda, con il rientro a casa di Emma. Giusto in tempo per festeggiare il suo settimo compleanno con la mamma, lontano dalle bombe. “Devo dire con assoluta certezza che la bambina non ha certamente ricevuto l’amore della mamma, ma ha sicuramente ricevuto quello dei nonni, gente povera, gente che subisce un conflitto, gente che cerca di fare il possibile per sopravvivere”.