C'è sempre il rischio che si torni indietro sui diritti delle donne. È quanto emerge dall'indagine dell'associazione Luca Coscioni, a pochi giorni dai 44 anni della legge sull'aborto. Dalla ricerca condotta da Chiara Lalli, docente di storia della medicina e Sonia Montegiove, informatica e giornalista, su un campione di 180 strutture in Italia, sono infatti 31 quelle con il 100% di obiettori di coscienza tra medici, ginecologi, anestesisti, infermieri o personale sanitario. 50 sono quelle con una percentuale di obiettori superiore al 90%, e oltre 80 tra ospedali e centri con un tasso di obiezione superiore all'80%. In alcune città non c'è neppure un ospedale che effettua l'intervento medico, costringendo le donne a recarsi in luoghi lontani e a liste d'attesa superiori alle 4 settimane. La percentuale di chi effettivamente opera per la pratica medica, secondo l'indagine, è ancora più bassa di quella indicata per l'obiezione di coscienza, perché non tutti i medici non obiettori praticano l'interruzione di gravidanza. Si tratta di un'indagine parziale, anche perché -sottolinea l'associazione Coscioni- avere un quadro chiaro dello stato di salute di questa legge purtroppo non è facile, perché non ci sono dati aggiornati e dettagliati. Proprio le difficoltà d'accesso ai dati e l'analisi reale dell'effettiva applicazione della 194 hanno spinto l'associazione Coscioni a inviare una lettera che chiede ufficialmente Open Data al Ministero della Salute e della Giustizia. Dati sui singoli ospedali e non su base Regionale, e aggiornati, per aiutare sia le donne a sapere dove poter esercitare il diritto dell'interruzione della gravidanza sia il legislatore a monitorare l'effettiva applicazione di una legge dello Stato. A 44 anni dal varo della 194, si impone dunque una riflessione sulla sua reale applicazione e sulla tutela di un diritto conquistato a caro prezzo: quello delle tante vite perse a causa degli aborti clandestini.