Covid, forti limitazioni nelle carceri per contenere contagi

18 feb 2021
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In qualche modo il carcere si è trasformato in un contesto in cui stai in una stanza, esci dalla stanza, vai nella cosiddetta ora d'aria, i passeggi in gruppi limitati, quindi anche con delle limitazioni in termini di orari e poi c'è sempre questa situazione un po' di incertezza, di costrizione, rispetto al quale forse in un contesto come il carcere, il senso di impotenza aumenta. Il covid 19 ha compromesso le libertà e la qualità di vita di tutti noi, ma ci sono luoghi dove la pandemia ha avuto effetti dirompenti, il carcere è un luogo di costrizione e detenzione, ma anche luogo comunitario di condivisione, quindi a rischio ne è stato travolto. Sospese le visite dei familiari e dei volontari, ridotti i movimenti e i contatti interni, abolite le attività formative o ricreative in presenza, il tempo non passa mai. Inoltre, il sovraffollamento strutturale che arriva al 120% rende il distanziamento una mera illusione. Tra l'altro noi eravamo reduci anche dalla rivolta del 9 marzo, subito dopo, insomma, ci sono stati i primi contagi e non è stato semplice, anche perché bisogna far capire alle persone cosa stava succedendo, non sempre è facile, perché a volte non è facile dire tieni le distanze quando in una Camera si è in 7, in 8, 9 persone, ovviamente, quindi è fondamentale in questo contesto una buona attività di informazione e di preparazione, di condivisione, in fondo siamo stati tutti insieme in battaglia su questa cosa. Dopo alcuni momenti critici a San Vittorem i contagi ora sono contenuti, medici senza frontiere, abituata a gestire l'epidemia, ha collaborato con l'amministrazione penitenziaria creando percorsi sicuri, luoghi isolati, nuove regole sanitarie, informando e formando detenuti e agenti di polizia. Ad oggi il carcere, che è anche un covid hub, ha 25 detenuti positivi e 3 agenti. I primi interventi, ovviamente, erano volti a spiegare, sia ai detenuti, sia agli agenti di polizia penitenziaria, come proteggersi, sia nell'utilizzo dei dispositivi di protezione individuale e poi, ovviamente, c'è stato uno studio molto dettagliato di tutte quelle attività che potevano aiutare il virus a diffondersi, quindi la distribuzione del vitto, oppure la lavanderia, soprattutto all'igiene delle mani. La difficoltà maggiore è stata sicuramente riuscire a creare una separazione netta tra i detenuti sospetti positivi da quelli negativi, perché ovviamente la struttura carceraria non è concepita come un ospedale e quindi tutti questi circuiti vanno rivisti. Ma la vita quotidiana è molto peggiorata. Una riduzione dei margini di libertà interni, quanto tempo ci impiegherà ad essere di nuovo riportata agli standard che noi conoscevano in precedenza, per cui su questo noi come associazione cerchiamo di vigilare, oltre a portare avanti e a ribadire l'importanza di vaccinare i detenuti, proprio perché sono una categoria su cui la vaccinazione cambia la qualità della vita, così come tutte le persone che si trovano in spazi di privazione di libertà. Nonostante ci sono delle criticità e alcuni aumenti esponenziali, a livello nazionale si è passati dai 1000 contagi a dicembre tra i detenuti ai circa 450 di febbraio, su un totale di 52400 presenze, mentre più alto è il tasso tra gli agenti di polizia penitenziaria, dagli 800 di dicembre si è arrivati a poco più di 500 ma su circa 37000 dipendenti. Quello che rende la situazione delicata è il fatto che il carcere al tempo del covid è diventato un luogo più isolato di prima e che la finalità rieducativa della pena prevista dalla legge per ora è accantonata.

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