Sarebbe stato il leader del complotto Giovanni Pamio, 60 anni, ex manager Audi, ottavo dipendente e primo italiano coinvolto nello scandalo delle emissioni costato alla Volkswagen più di 24 miliardi di dollari di multe e risarcimenti legali. L’FBI lo accusa di aver dato ordine di truccare i programmi per manomettere i test sulle emissioni. La Procura di Detroit muove contro di lui accuse pesanti: cospirazione, frode e violazione delle norme antinquinamento. Tutto è cominciato nel 2014, quando la casa tedesca ha ammesso che le auto prodotte con i marchi Volkswagen, Porsche e Audi erano equipaggiate con software che truccavano i livelli di inquinamento prodotti dai motori diesel nelle versioni da due e tre litri. Durante i controlli predisposti dalle autorità federali, i livelli di emissioni mostrati dalle centraline erano diversi da quelli prodotti effettivamente su strada dai motori e dalle auto tedesche. I metodi di manomissione, secondo le ricostruzioni, sono andati avanti per diversi anni prima di essere stati scoperti da test più approfonditi eseguiti dall’Università della Virginia. Pamio, all’epoca, era a capo della divisione ingegneristica di Audi, proprio quella che si occupava dello sviluppo dei motori diesel a Neckarsulm, in Germania, dove coordinava un team di ingegneri incaricato dei controlli sulle emissioni dal 2006 al 2015. Secondo quanto riferisce il Dipartimento di Giustizia americano, Pamio insieme agli altri avrebbe deliberatamente non comunicato le funzioni del software, pretendendo consapevolmente che i veicoli rispettassero gli standard sulle emissioni. Agli atti ci sarebbero più di una mail che lo provano. Un altro impiegato attende la sentenza a giorni, un altro ancora è detenuto negli Stati Uniti, gli altri cinque sono cittadini americani.