Raffreddare gli animi e le tensioni è l'obiettivo delle autorità milanesi dopo i disordini di domenica sera nel quartiere Corvetto periferia sud-est del capoluogo lombardo. Certo, restano le immagini degli scontri con le forze dell'ordine, i roghi, le barricate, l'autobus con i vetri spaccati che quando è stato assaltato era pieno di gente. La rabbia dei più giovani abitanti del quartiere nordafricani albanesi kosovari d'origine ma italiani nei fatti, anche di seconda generazione ormai. Clima da banlieue parigine. Insomma, raffreddare le tensioni dicevamo; è per questo che si è deciso di affidare il controllo dell'ordine ai soli agenti della polizia in queste ore meglio non provocare. Perché era una macchina dei carabinieri che inseguiva Rami il diciannovenne di origini egiziane morto dopo essere caduto dallo scooter al termine di una corsa attraverso mezza città. Da quando esiste, il Corvetto è per Milano un laboratorio di integrazione sociale, il più grande in città insieme al quartiere San Siro. Prima gli sfollati interni della guerra, poi gli immigrati del Sud, infine gli stranieri. Problemi, ovvio, degrado e criminalità, case occupate, ma anche l'energia creativa. Librerie di frontiera, atelier d'arte contemporanea e movimenti politici di lotta, centri sociali che in passato hanno dato prova di guerriglia urbana con notevole capacità organizzativa. È a loro che in queste ore si guarda con attenzione speciale.