Un traghetto in fiamme al porto di Livorno, una colonna di fumo e lingue di fuoco nella notte toscana. Lo schianto contro una petroliera e 140 morti. Le immagini immediatamente richiamano la tragedia del Moby Prince, 10 aprile 1991, immagini storiche, per una vicenda mai risolta. A ventisette anni dal disastro nessun responsabile. Evidenze negate, verità nascoste e ricostruzioni fantasiose. Ci sono documenti che si davano per scomparsi e altri che qualcuno voleva far scomparire. Di certo, lo scontro in porto: il Moby Prince da una parte e dall’altra la petroliera Agip Abruzzo. 22.03, il traghetto in servizio di linea tra Livorno e Olbia molla gli ormeggi per la traversata. A bordo l’equipaggio, sessantacinque persone, agli ordini del comandante Ugo Chessa, e settantacinque passeggeri. Il traghetto colpisce con la prua la petroliera, entrando nella cisterna n. 7. All’interno circa 2.700 tonnellate di petrolio. Parte si riversa in mare e parte, invece, investe in pieno la prua del traghetto. Scintille da impatto e petrolio: il traghetto è in fiamme. L’equipaggio, convinto della tempestività dei soccorsi, fa sistemare gran parte dei passeggeri nel salone principale, a prua della nave, con pareti e porte tagliafuoco. Le fiamme arrivano dalla parte anteriore della nave e raggiungono il salone, lo scavalcano e lo circondano, fino a farlo rimanere esattamente al centro dell’incendio. Così, quando l’equipaggio si accorge del ritardo dei soccorsi, non è più possibile evacuare nessuno. A parlare furono i corpi: elevatissimo tasso di monossido di carbonio nel sangue delle vittime, sintomo del fatto che in molti sopravvissero per ore all’incendio e non tutti, quindi, morirono a causa delle fiamme nel giro di pochi minuti dall’impatto. Il capitolo soccorsi tanto ha fatto discutere. C’è una pesante ammissione dell’allora Comandante del porto Sergio Albanese: “Il traghetto era un corollario. Noi ci siamo concentrati sulla petroliera”.