Alle 3,37 di venerdì notte, 17 novembre, Totò Riina, dopo una lunga malattia ha smesso di vivere nel reparto detenuti dell’ospedale di Parma. Per poter effettuare l’autopsia nelle prossime ore, la procura emiliana ha aperto un fascicolo contro ignoti, ipotizzando il reato di omicidio colposo. Ma per il capo indiscusso di cosa nostra non ci saranno funerali in chiesa. La scomunica del Papa, d’altronde, nei confronti dei mafiosi, è da tempo chiara e inequivocabile. Con l’aggravarsi del quadro clinico, il ministro della giustizia, nei giorni scorsi, aveva concesso alla moglie, Ninetta Bagarella, e ai figli, di potersi recare in ospedale. Familiari che intanto consegnano a Facebook le loro emozioni. È Maria Concetta Riina, con questa foto che ritrae il volto in chiaroscuro di una donna, a chiedere a tutti il silenzio: quella vocazione a saper tacere, tanto cara al padre, che odiava i collaboratori di giustizia. 87 anni appena compiuti, 26 ergastoli da scontare, Totò Riina, nei suoi 24 anni di detenzione in regime di carcere duro, non si è mai pentito: mai nessun segno di cedimento “io non mi pento –confidava alla moglie –, non mi piegheranno”. Un uomo caratterizzato da manie di grandezza mafiose. Al detenuto col quale condivideva l’ora d’aria diceva: “io sono orgoglioso di tutto quello che ho fatto”, una storia criminale di cui c’è però ben poco di che vantarsi. È stato lui ad ordinare la morte di Falcone, Borsellino, Dalla Chiesa, a volere le bombe del ’93, a siglare la morte di decine di uomini delle forze dell’ordine e giornalisti. Una carriera criminale iniziata negli anni Settanta, fino ad arrivare a diventare poi il capo dei capi, il più feroce e spietato della mafia. Un potere che ha continuato a mantenere anche in carcere, fino alla fine, come scrissero i magistrati, lo scorso anno, nel negare i domiciliari al boss. Se ne va, portandosi nella tomba i suoi segreti, legati alle pagine più buie della storia italiana.