Lamia Chriqi è bruciata qui, dove qualcuno ha portato un fiore. Non parlava bene l’italiano la donna, ma al 113, prima di morire, ha fatto capire che in casa c’era una persona che voleva darle fuoco. Quell’uomo, Hussain Azfal, assassino confesso, dopo un probabile rifiuto, ha perfino partecipato ai soccorsi. Viveva proprio davanti, all’Hotel Arcobaleno, uno dei luoghi resuscitati dalle cooperative che gestiscono i migranti. È un profugo pachistano e da settembre scorso si trovava nel paese arroccato sulla montagna pistoiese. Non aveva mai dato segnali di disagio o squilibrio. La sua richiesta d’asilo era stata bocciata, ma per lui c’era ancora la carta del ricorso. I femminicidi non hanno nulla a che vedere con la classe e l’estrazione sociale, ma è come se a San Mommè, terra di verde, pace e serenità, due grandi questioni si siano sovrapposte. Oggi, la presenza di cinquantanove migranti, a fronte di un centinaio di residenti, fa ancora più discutere. “La situazione cambierà, ma cambierà perché siamo rimasti un po’ scossi da questa cosa”. “Sono sempre un gruppo di persone, che è numeroso. Poi cambia spesso”. Ai richiedenti asilo è stato fatto un invito a rimanere dentro la struttura e, come ammette il responsabile della cooperativa, “esiste un problema di proporzioni”. “In questi giorni non le nascondo che il gruppo degli operatori che solitamente lavora nella struttura, che sono cinque, è stato incrementato. Ci sono due operatori in più. La capienza deve essere ridotta. È giusto che ci sia un’ospitalità, che sia mediamente proporzionata anche con le capacità ricettive del territorio”.