Strage di Piazza Fontana, il ricordo di Carlo Arnoldi

11 dic 2019
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Lui non stava tanto bene, e non voleva andare in Piazza Fontana, e l'aveva confidato anche al suo amico che l'aveva accompagnato la mattina, Mor Stabilini, che poi rimarrà ferito. Purtroppo nel primo pomeriggio, verso le 14.30 – 14.45 riceve una chiamata da un agricoltore di Lodi, che lo supplica di andare in Piazza Fontana perché voleva chiudere la vendita... lui voleva comprare un'azienda nel milanese e mio padre conosceva il venditore. Quel giorno voleva chiudere prima di Natale, per con l'anno nuovo avere tutto pronto. Convince mio padre, mio padre saluta mia madre e verso le 15.00 parte e arriva a Milano. Arriva a Milano, so che parcheggia la macchina a Porta Ticinese, perché l'abbiamo trovata dopo due mesi, e so, perché l'agricoltore lo incontra sulla porta della Banca Nazionale dell'Agricoltura proprio alle 16.30, e gli dice “come mai? Mi hanno detto che non dovevi venire”. Lui dice “hai visto il tale di Lodi?” Lui fai: “no, non è ancora arrivato”. “Io entro”. “No no, io rimango qua”. Entra e purtroppo alle 16.37 scoppia la bomba che, oltre a uccidere mio padre, uccide altre 16 persone. 17 morti dovuti allo scoppio di una bomba ad alto potenziale, in un periodo di pace. Il ricordo più terribile è quello di averlo visto distrutto all'obitorio. Io l'avevo visto la mattina, e non era così. E poi un ricordo molto sentito è il giorno dei funerali, perché noi avevamo il dolore nel cuore, e anche tanta rabbia, però arrivando in Piazza Duomo ci siamo accorti che Milano si era fermata per noi, per tutti i morti, ed erano tutti lì, in silenzio. E mi ricordo questo distintamente: i singhiozzi di mia sorella mentre accompagnavamo la bara di mio padre in Duomo, e soprattutto i passi nostri e quelli di chi portava a spalla mio padre, che si sentivano distintamente mentre entravamo in Duomo. Siamo entrati in Duomo e lì, purtroppo, abbiamo aspettato tantissimo tempo prima che le autorità arrivassero. Arrivò il Presidente del Consiglio, Rumor. Arrivò con molto ritardo. Io ero vicino al nostro parroco, mentre mia mamma era una fila più avanti con mia sorella e gli altri parenti. E questa cosa mi diede molto fastidio perché ero vicino alla bara di mio padre, lo vedevo dentro e alla fine, quando Mariano Rumor fece il giro per salutare, allungò la mano verso di me. Io non gli diedi la mano. È stato un gesto inconsulto, perché primo per la rabbia perché ci aveva aspettare un casino di tempo in Duomo, secondo perché non riuscivo a capacitarmi già a 15 anni perché un uomo di 42 anni entrasse in banca per svolgere il suo lavoro e ne uscisse dilaniato, distrutto. Non era più lui mio padre.

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