Multinazionale contro multinazionale, industria tradizionale contro industria digitale. Unilever contro Google, Facebook, Amazon e gli altri colossi del web che se non metteranno un argine alle notizie false che diffondono, se non faranno nulla per proteggere i bambini dai messaggi di odio, chiuderà il portafoglio non investendo più in pubblicità. La minaccia del gigante dei consumi, una delle più grandi società al mondo con circa 400 marchi tra i più noti a livello globale di prodotti alimentari per la casa dei gelati al sapone potrebbe voler dire una perdita di alcuni miliardi di euro all’anno per le società di internet. Unilever l’anno scorso ha speso sui canali digitali un terzo del totale dei suoi investimenti in pubblicità, circa 7,7 miliardi di euro. Il colosso anglo-olandese in questo campo è secondo solo al concorrente Procter&Gamble, che l’anno scorso ha dato un ultimatum analogo con il risultato di un taglio della spesa per spot sui colossi della rete di quasi 100 milioni. Certo si tratta di briciole per Google e Facebook, che accumulano decine di miliardi con la pubblicità on line, ma l’iniziativa è il sintomo di come stia crescendo l’insofferenza verso, per usare le parole del numero uno di Unilever, Keith Weed, quei contenuti falsi, tossici, razzisti, sessisti che circolano sui social network sotto forma di immagini, video e messaggi. I colossi tecnologici dal lato loro continuano quasi quotidianamente a promettere un giro di vite. Facebook ha risposto con buoni propositi alle minacce di Unilever ricordando che è impegnata a migliorare i contenuti che contribuisce a diffondere. Anche Google si starebbe adoperando. A dicembre aveva promesso una massiccia campagna di controllo sui video pubblicati sulla piattaforma YouTube di sua proprietà per evitare come in passato contenuti offensivi soprattutto per i bambini. Ma i risultati, stando alla presa di posizione di Unilever, evidentemente non sono sufficienti. Fare pubblicità su ambienti pieni di fake news non è un buon affare.