Sui banchi dei mercati di Buenos Aires e di tutta l'Argentina i cartelli dei prezzi durano pochi giorni. Da queste parti l'inflazione corre così tanto che bisogna di ritoccarli ogni settimana. In un anno il caro vita è cresciuto di oltre il 140%. Nel giro di dodici mesi il costo della carne è più che raddoppiato, nell'ultimo mese il prezzo di un chilo di pane è salito da 800 a 1.100 Pesos. Bisogna partire da qui per capire la vittoria di Javier Milei alle elezioni presidenziali, un anarco-capitalista si definisce. Rifiuta l'etichetta di ultra-liberista di Destra. Ha promesso misure shock, brusco taglio delle tasse, privatizzazioni di scuola e sanità, ma ha smentito alla vigilia del voto meno controlli sui capitali e la dollarizzazione del Paese. In pratica, gli argentini sarebbero chiamati a utilizzare ufficialmente la moneta statunitense al posto del Peso, cosa che già in larga parte avviene con tassi di cambio astronomici sul mercato nero. Il passaggio alla valuta a stelle e strisce dovrebbe proteggere il potere d'acquisto, ma farebbe precipitare ancora di più il valore della moneta sudamericana, rendendo estremamente arduo trovare finanziatori sui mercati. Milei vuole poi mettere i sigilli alla Banca Centrale, che per frenare i prezzi ha portato i tassi oltre il 130%, perché la ritiene responsabile dell'iperinflazione. Il rischio è quello di far precipitare l'Argentina, che deve ripagare un debito di 44 miliardi di dollari al Fondo Monetario Internazionale per gli aiuti ricevuti in passato nel decimo crack della sua storia. Le riserve statali sono in rosso, la recessione avanza, quattro argentini su dieci vivono in povertà, e chi ha i soldi li spende, riempie dispense e bar, perché quanto varranno quei denari in tasca domani nessuno può saperlo.