Con la manovra che ha avuto il via libera dal Governo, sulle pensioni si è creato un nuovo scalino a quota 102, per rendere più morbido il passaggio ai 67 anni della Fornero. Si è pensato dunque a chi è prossimo al ritiro dal lavoro, ma per i giovani cosa è stato fatto? Il problema non è di poco conto, perché, per esplicita intenzione del Premier Draghi, del 2023 si torna al percorso contributivo e questo, per le nove generazioni, in molti casi vorrà dire un assegno basso e ha un'età molto avanzata. Ma ormai il sistema previdenziale sta marciando verso quella direzione. Dal 2032, tutti i nuovi pensionati, riceveranno assegni basati sul contributivo puro, ovvero prenderanno quanto avranno versato negli anni, avendo cominciato a lavorare dopo il 1996, cioè dall'entrata in vigore della riforma Dini. Con questo meccanismo è già previsto una forma di anticipo, ma a determinate condizioni: uscita a 64 anni e almeno 20 di contributi, ma la rendita maturata, dovrà essere non inferiore a 2,8 volte l'importo dell'assegno sociale, circa 1.300 euro al mese. Traguardo difficile con i bassi salari, le carriere discontinue e i buchi previdenziali di tanti giovani. L'alternativa è allora aspettare i 67 anni della pensione di vecchiaia, potendo però contare su un assegno futuro, di almeno una volta in mezzo quello sociale, 690 euro. Se non ci arriva neanche a questo, per l'agognato riposo non resta che rassegnarsi ai 70 anni e oltre, destinati a salire ancora, perché legati all'incremento della speranza di vita. Insomma, la pensione è come un miraggio e per di più, un miraggio amaro. Secondo alcune stime, per il 60% di chi è entrato nel mondo del lavoro a metà degli anni 90, l'importo sarà sotto la soglia di povertà, considerando anche che non è prevista un'integrazione al minimo. In questo contesto contributivo, si fanno strada ipotesi per un'uscita anticipata che possa valere per tutti, ma prima si lascia la propria attività, meno contributi si versano, più magro sarà l'assegno. Anche di questo, i giovani siano avvertiti.