Storicamente, il settore auto anticipa le tendenze future dell'intera industria manifatturiera; se vanno male le quattro ruote, dicono gli economisti, mala tempora currunt. Non è un caso che il recente rapporto Draghi sulla competitività dell'Europa dedichi un ampio capitolo all'auto e al percorso di elettrificazione, centrale per la svolta green. E non è un caso che la caduta della produzione auto, -35% in un anno, sia all'origine della gelata della produzione industriale italiana a luglio. La penisola non è isolata. La Germania, un tempo locomotiva, ora arranca: BMW ha abbassato le previsioni di profitti per quest'anno con conseguente crollo in borsa, dopo aver richiamato un milione e mezzo di vetture per un difetto ai sistemi frenanti. E Volkswagen, seconda casa mondiale, ha appena stracciato accordi sindacali in vigore da 30 anni cancellando lo stop ai licenziamenti previsto fino al 2029. Ci sono mezzo milione di veicoli invenduti e la concreta eventualità di chiudere uno o due stabilimenti in Germania cosa mai avvenuta dalla fondazione dell'auto del Popolo nel 1937. Se le auto tradizionali non tirano, quelle elettriche ancor meno. Le vendite languono schiacciate dalla concorrenza cinesi a basso costo e la Volvo svedese ma di proprietà di Pechino fa dietrofront rinunciando a produrre solo full electric dal 2030 visto il calo della domanda. La scommessa dell'elettrificazione su cui grandi case europee hanno puntato miliardi rischia di essere persa senza un piano di investimenti condiviso a livello continentale per infrastrutture e fabbriche di batterie, come da input di Draghi? Nel frattempo la maggioranza che sostiene il governo Meloni ipotizza di rimettere in discussione il termine europeo del 2035 per lo stop ai motori termici; la transizione non sarà liscia e lineare come alcuni prevedevano e molti speravano.