La transizione energetica è irreversibile e necessaria. Altrettanto necessaria è che si fondi su business profittevoli, perché quelli eternamente sussidiati dal pubblico non sono sostenibili. Parte da questa impostazione di fondo l'aggiornamento del piano industriale di Eni al 2027 presentato alla comunità finanziaria nella storica sede di San Donato alle porte di Milano. Eni conferma la struttura a satelliti, con un gruppo centrale legato alle fonti di energia tradizionali e diverse società della galassia che si occupano di specifici business legati alla transizione green. Sono staccate proprio per camminare con le loro gambe, crescere meglio ed estrarre valore, ossia creare più ricchezza per il gruppo. Plenitude, che produce energie rinnovabili e vende luce e gas a famiglie e aziende, e Eni Live, attiva nella mobilità sostenibile, sono ormai due realtà mature che valgono diversi miliardi di euro e sono destinati allo sbarco in borsa. Percorso analogo è immaginato per altre due aree: il braccio della chimica e dell'economia circolare, e la divisione che implementa soluzioni di Carbon Capture, cattura della CO2, tecnologia ancora non molto diffusa su cui Eni dichiara però di puntare molto per ridurre le emissioni nette. Nel piano è previsto un aumento della remunerazione degli azionisti, leggi più utili, e quindi più dividendi da qui al 2027, perché la transizione, se riesce ad attrarre investimenti privati, è conveniente. "Non si può pensare che tutta la transizione sia nelle mani dello Stato o degli Stati e sia fatta attraverso dei sussidi, degli incentivi, degli aiuti. È impossibile, perché comunque lo spazio fiscale di quasi tutti nel mondo, a parte alcuni, forse la Germania, il Giappone, non lo so, non ha la capacità per affrontare la transizione energetica, la parte sociale, la parte sanitaria, la parte infrastrutturale. Gli Stati non possono fare tutto".