Due, quattro, forse cinque, è incerto il numero di società che sarebbero interessate ad Acciaierie d'Italia, l'ex Ilva, ora in amministrazione straordinaria, cioè gestite dallo Stato per evitare che chiuda i battenti. Il Governo ha fatto sapere che il confronto continua respingendo l'accusa dei sindacati che si vogliano dismettere gli impianti col principale a Taranto, coi suoi 8000 dipendenti, sui circa 10000 totali del gruppo dell'acciaio. Tra i potenziali acquirenti, gli americani di Bedrock e quelli di Flax, che avrebbero messo sul tavolo offerte che prevedono radicali tagli al personale. Circolano anche i nomi di Qatar Steel, dell'emiratina M Steel e dell'italiana Arvedi, trattative riservate che non ci dicono che progetti abbiano questi gruppi sul futuro di quello che un tempo era il polo siderurgico più grande d'Europa. L'ex Ilva perde un paio di milioni di euro al giorno e quest'anno la produzione sarà al di sotto dei due milioni di tonnellate, quando ne serve il triplo per garantire la sostenibilità finanziaria. Il futuro passa da una profonda trasformazione industriale per ridurre l'inquinamento, utilizzando principalmente energia elettrica al posto di carbone e gas per accendere i forni. La complessa transizione, secondo i piani del Governo, si dovrebbe attuare in quattro anni anziché otto e ha tra gli altri l'obiettivo di garantire l'occupazione, ma con nel frattempo circa la metà dei lavoratori in cassa integrazione e altri 1550 destinati a programmi di formazione. Per i sindacati è l'anticamera della chiusura e per questo chiedono che l'acciaieria la prenda lo Stato, che continua a mettere soldi nell'ex Ilva, oltre due miliardi per prestiti e sussidi solo negli ultimi tre anni, per un conto che supera i 10 dal 2012, quando partì l'inchiesta per strage e disastro ambientale.























