La transizione energetica presenta il conto. E a Roma è chiaro, infatti, che la decarbonizzazione costerà una montagna di soldi e le industrie italiane hanno fatto i calcoli. Le imprese siderurgiche, chimiche, metallurgiche e produttrici di carta, vetro, cemento e ceramica, associate a Confindustria, hanno stilato un documento assieme a Boston Consulting per stimare il costo della proposta europea per la neutralità climatica. Risultato: fino a 15 miliardi di euro di costi aggiuntivi per il nuovo sistema di scambio europeo delle emissioni. Secondo le imprese energivore italiane l'aumento del prezzo dei permessi di inquinamento, che le aziende devono comprare e il cui costo è in ascesa, potrebbe costare tra gli 8 e i 15 miliardi di euro tra oggi e il 2030. La paura degli imprenditori è quella di perdere competitività rispetto alle aziende extraeuropee, anche se la proposta della commissione di dazi e prodotti inquinanti importati dovrebbe ridurre questo rischio. L'alternativa all'aumento dei costi per l'acquisto dei permessi di inquinamento è l'investimento nella transizione energetica per abbattere le emissioni. Anche questo fronte però richiederà uno sforzo finanziario importante per fare in modo, ad esempio, di impiegare combustibili green, come l'idrogeno, o elettrificare i processi produttivi. Interventi per cui sarà essenziale il contributo pubblico del Recovery Fund, che sulla transizione energetica spenderà quasi 70 miliardi di euro. Ma c'è anche chi, come i produttori italiani di ceramica, lamenta l'inesistenza di tecnologie alternative per il ciclo di cottura della ceramica, in cui le temperature in genere vanno oltre i 1.000 gradi centigradi. Se dunque i privati dovranno spendere per essere meno inquinanti, con costi che potrebbero ricadere sui consumatori, viene chiesto anche un forte contributo pubblico per aiutarli nella transizione.