Il cantiere pensioni in vista della manovra è in fibrillazione, ma ogni ipotesi deve fare i conti con i pochi soldi a disposizione e alle ricadute sul lungo periodo. In questo senso va valutato l'effetto che avrebbe il blocco dell'aumento dell'età per uscire dal lavoro. Il Governo è intenzionato a evitare che dal 2027 siano necessari tre mesi in più rispetto ad adesso. La legge infatti prevede che il traguardo della pensione si allontani man mano che cresce l'aspettativa di vita per cui, senza il congelamento, per l'assegno di vecchiaia servirebbero 67 anni e tre mesi di età. Mettere il freno costerebbe circa 3 miliardi il primo anno, ma in futuro la spesa rischierebbe di diventare enorme. Se l'asticella non venisse più spostata in avanti, cioè se il requisito anagrafico rimanesse quello attuale, il costo per lo Stato sarebbe di oltre 300 miliardi in vent'anni. Da considerare inoltre che nel 2026 serviranno circa 5 miliardi in più per adeguare all'inflazione i cedolini dell'INPS, rivalutazione che non è piena per tutti, ma si riduce per i redditi più alti. Visto che la coperta è corta, si ragiona nel frattempo su una nuova forma di anticipo a 64 anni con 25 di versamenti, utilizzando una quota del TFR lasciato in azienda, in modo così da raggiungere la soglia minima dell'assegno. Riguarderebbe solo i lavoratori dipendenti di imprese con oltre 50 impiegati e solo su base volontaria. Non avrebbe impatto sull'erario perché sarebbe il lavoratore a dover coprire il costo dell'anticipo con la sua liquidazione, che inoltre non prenderebbe tutta in una volta a fine carriera, come accade oggi, ma a rate mensili. Sul tavolo anche incentivi alle pensioni integrative, aumentando la deducibilità delle spese per i versamenti con l'effetto quindi di pagare meno tasse. Riguarderebbe attualmente una minoranza di lavoratori, che gode di stipendi medio alti e che può quindi permettersi la stampella privata. .























