Quello delle pensioni è uno dei dossier più caldi sul tavolo del Governo. Un tema in cantiere da mesi, che adesso ha bisogno di un'accelerazione, perché a dicembre finisce l'esperimento di Quota 100, cioè la possibilità di lasciare il lavoro a 62 anni e con almeno 38 di contributi. La misura, voluta tre anni fa dalla Lega, non sarà rinnovata e, se non si farà nulla, per il bonifico dell'Inps bisognerà aspettare le 67 candeline, a meno che non si rientri in una delle altre forme di anticipo già esistenti. Proprio l'idea di estendere la platea dell'Ape sociale, cioè la pensione a 63 anni per chi svolge attività usuranti, è disoccupato o si trova in difficoltà, è una delle ultime ipotesi circolate. La misura andrebbe prorogata, scade a fine anno, ed estesa ma non soddisferebbe tutte le richieste della maggioranza parlamentare e dei sindacati che chiedono più flessibilità. Ogni scelta sulla previdenza deve fare i conti con i costi e il bilancio statale, già provato dalla crisi innescata dal Covid. Le tre principali soluzioni, finora prospettate, comportano spese molto diverse: lasciare l'impiego con 41 anni di contributi, a prescindere dall'età, porterebbe a un esborso che, nel suo piccolo nel 2030, raggiungerebbe i 9,2 miliardi, se invece si potesse andare in pensione a 64 anni con 36 di contributi, con l'assegno calcolato interamente in base ai versamenti, di miliardi ne servirebbero 4,7 nel 2027. Meno oneroso l'anticipo a 63 anni con una somma calcolata solo in base ai contributi maturati, la parte restante arriverebbe solo al compimento dei 67 anni, in questo caso si arriverebbe a 2,4 miliardi nel 2029.