La decisione dell'OPEC Plus, cartello dei 23 Paesi maggiori esportatori di petrolio, di tagliare la produzione per sostenere i prezzi del greggio viene letta dai più come uno schiaffo a Biden, da mesi impegnato in un, dapprima esplicito poi più sotterraneo, lavorio ai fianchi dell'alleato Saudita per ottenere forniture più generose, vedi viaggio a Gedda di inizio estate. Il tentativo di isolare Mosca dai partner dell'OPEC non pare propriamente riuscito per il motivo più semplice che può legare due Governi, la comunanza di interessi economici. I Paesi produttori non hanno alcun pro, specie in questa fase di calo della domanda legata al rallentamento dell'economia, a inondare il mercato di greggio, spingerebbero gioco forza verso il basso gli introiti del loro bene più prezioso. Da qui l'annuncio di una diminuzione dell'offerta di 2 milioni di barili al giorno, quantità doppia rispetto alle voci della vigilia, da qui l'effetto schiaffo, ma anche rispetto alla diminuzione effettiva reale perché il taglio si applica quote attualmente in vigore ma molti Paesi stanno già producendo al di sotto dei livelli assegnati per mancata capacità di estrarre di più in tempi brevi da pozzi sempre più vecchi, sfruttati e in via di esaurimento. La contromossa immediata di Washington non si è fatta attendere, ha deciso il rilascio di 10 milioni di barili in più delle scorte strategiche. Più greggio c'è in giro, più il prezzo scende e per Biden è essenziale che a poche settimane dalle elezioni di midterm il prezzo della benzina al distributore non torni a salire. Basterà? Per gli esperti è un palliativo e le scorte sono comunque ai minimi da metà anni 80 e andranno necessariamente ricostituite, infatti l'amministrazione americana ha già fatto sapere di voler individuare con il Congresso strumenti per ridurre il controllo dell'OPEC sui prezzi dell'energia. Stavolta oltre che con Mosca, lo scontro potrebbe essere con gli storici alleati del Golfo Persico.