"È necessario rafforzare la macchina statale per rispettare tutti gli impegni presi con Bruxelles e attuare il Piano nazionale di ripresa". È questo l'avvertimento contenuto nella relazione sull'attività del Governo per quanto fare il Recovery Fund, il vasto programma contro la crisi finanziato con soldi europei, preso in mano da febbraio dello scorso anno dall'esecutivo guidato da Mario Draghi. Il raggiungimento dei 51 obiettivi previsti per la fine del 2021 sono solo un primo tassello. "La riorganizzazione delle strutture e delle regole dovranno essere rafforzate", si legge nel documento, nel quale si traccia quanto fatto da Palazzo Chigi in 10 mesi. Draghi e i suoi ministri hanno premuto sull'acceleratore. Le emergenze sanitarie e quelle economiche hanno portato a 54 riunioni di governo, 109 provvedimenti, di cui 41 decreti legge, e si è smaltito un bel po' di arretrato, cioè lavoro ereditato per rendere concrete norme decise a partire dal 2018, ma anche prima, che è stato ridotto del 60%. Una volta fatta una regola, infatti, l'iter quasi mai finisce lì, sono necessari ulteriori passaggi burocratici, i cosiddetti decreti attuativi, per dare efficacia a quanto stabilito nei palazzi della politica. E rispetto ai due precedenti governi, quello dell'ex numero uno della Banca Centrale Europea ne ha firmati molti di più. Questa corsa ha avuto un impatto anche sull'economia. Dei 50 miliardi stanziati col decreto Sostegni Bis del maggio scorso restano da assegnare solo 225 milioni, in pratica il 99,6% di quei fondi destinati ad aiutare le attività in difficoltà a causa della pandemia è andato in porto.