Superato lo scoglio dell'approvazione del regolamento europeo sul recovery Fund i paesi si preparano ad inviare i propri piani ufficiali di ripresa a Bruxelles entro la fine di aprile. Chi prima spedirà il documento prima potrà ricevere l'anticipo del 13%, ma per riuscirci va superato il vaglio comunitario, le istituzioni europee hanno infatti l'ultima parola sull'uso dei fondi, in buona parte pagati o garantiti dai contribuenti del nord Europa, proprio per questo il recovery plan italiano dovrà essere inattaccabile e oggi purtroppo non lo è. L'Unione europea riconosce un buon impianto generale al nostro piano, ma pecca, secondo la lettera firmata dai commissari Gentiloni e Dombrovskis, sulla finalizzazione delle spese degli investimenti, il recovery plan oggi, infatti, prima di tutto non contiene target e cronoprogrammi delle spese e delle riforme, elementi essenziali per l'Europa che vuole sapere entro quando intendiamo portare a termine gli investimenti. Se per esempio l'Italia volesse costruire una ferrovia con i soldi del recovery fund dovrebbe specificare quanti chilometri di rotaia intende finalizzare entro il 2022, 2023 e così via. E questo nel piano italiano che conosciamo non c'è, come non ci sono gran parte delle riforme dettagliate richieste, dalla pubblica amministrazione alla giustizia, né una spiegazione di come e con quali strutture il nostro paese intende gestire la spesa dei 209 miliardi europei, che dovrà avvenire entro dicembre 2026, pena la restituzione dei fondi non spesi. La scrittura del piano complessa dal punto di vista burocratico, fin troppo, perfino secondo il ministro dell'economia francese e su questo Mario Draghi sarà chiamato a lavorare. Insomma, il neo premier si è trovato in eredità un recovery plan che è un libro con alcuni capitoli già ben impostati, ma ancora tante pagine bianche importanti da scrivere.