Se una Regione sfora il budget per acquistare strumenti medici come Tac, protesi o apparecchi chirurgici, dovrà ripianare le spese, ad aiutarla potranno essere le aziende che quelle attrezzature le hanno venduto. É questo, in sintesi, il payback nel campo della Sanità, un meccanismo pensato per limitare esborsi fuori controllo, ma che ora rischia di dare una brusca spallata alle imprese del settore. Questa sorta di rimborso prevede che chi rifornisce gli ospedali possa essere chiamato a pagare fino al 50% di quanto la Regione, che gestisce le strutture sanitarie, ha speso in più rispetto a quanto preventivato, una sorta di clausola per mettere sugli attenti venditore e acquirente quando si maneggiano strumenti, dal laser al cerotto, per diagnosi e cure dei pazienti. Il payback sulla carta esiste da oltre otto anni ma è rimasto in sonno fino a quando, la scorsa estate, è stato risvegliato con la definizione delle regole per applicarlo con l'effetto che, visto che molte Regioni hanno superato i tetti di spesa programmati, l'industria medica sarebbe chiamata a sborsare 2,2 miliardi di euro per gli anni che vanno dal 2015 al 2022. Un macigno che secondo i diretti interessati metterebbe a repentaglio un comparto che conta oltre 4.500 aziende e impiega circa 112mila persone, con ricorso in tribunale e manifestazioni le imprese protestano contro il payback chiedendo che sia cancellato, un'ipotesi possibile ma che costringerebbe lo Stato a trovare i soldi da qualche altra parte.