"Sono un accademico, uno studioso e di sicuro non sono un terrorista". A parlare, con il suo legale, è Mohammad Abedini Najafabadi, l'uomo arrestato il 19 dicembre a Malpensa, trasferito nel carcere milanese di Opera e in attesa della decisione sull'estradizione chiesta dagli Stati Uniti. Sarebbe proprio l'ingegnere iraniano la vera ragione del contemporaneo arresto a Teheran di Cecilia Sala. Abedini, che dichiara la sua completa estraneità ai fatti, è considerato la moneta di scambio con la giornalista italiana ancora detenuta nel famigerato carcere di Evin. Per lei nessuna accusa precisa, ma una formula estremamente vaga. La giornalista italiana è stata fermata a Teheran perché ha violato la legge della Repubblica islamica, si legge nello scarno comunicato diffuso dal Ministero della Cultura, in cui si conferma l'arresto, si da conto dell'apertura di un'inchiesta e si specifica, infine, che la donna era arrivata nel Paese il 13 dicembre con un regolare visto di lavoro. Il Ministero degli Esteri iraniano ha consegnato alla nostra Ambasciata a Teheran una lista di legali tra i quali la Sala dovrà scegliere il suo avvocato difensore. La donna si trova da 12 giorni reclusa nel carcere di Teheran destinato, principalmente, ai dissidenti politici. Trattative complesse per il suo rilascio e legate, dunque, al caso di Abedini, accusato di aver fornito il sistema di navigazione del drone che uccise tre soldati americani in Giordania a gennaio del 2024. È stato lo stesso viceministro degli Esteri iraniano a menzionarlo durante il colloquio con Ambasciatrice italiana, Paola Amadei. E Washington, non a caso, è, oltre a Teheran, l'interlocutore di Roma in questa trattativa, che potrebbe risolversi anche attraverso l'espulsione della Sala dall'Iran. Ipotesi plausibile, considerando proprio l'assenza di accuse precise nei suoi confronti.