Ce l'ha fatta l'ultima volta e ora vuole riprovarci. L'opposizione turca punta a mantenere il controllo del palcoscenico politico locale, confermando soprattutto i sindaci di Istanbul e Ankara. Il risultato delle elezioni amministrative in Turchia potrebbe dare forma alla politica dei prossimi anni in un paese centrale per la vicina Europa, membro della Nato, in un'epoca di conflitti alle porte, guidato da un autocrate, Recep Tayyip Erdogan, con velleità e a volte capacità da protagonista nelle crisi internazionali più profonde, da Gaza all'Ucraina. La sfida si gioca, appunto, nelle due principali città turche. Centri strappati nel 2019 a decenni di dominio dell'AKP, partito islamista al governo. È la battaglia sul Bosforo a raccontare meglio la centralità di questo voto. Il sindaco uscente, Ekrem Imamoglu, secondi i sondaggi è testa a testa con il candidato scelto dal presidente. Ad Ankara, invece, è favorita quell'opposizione, che sebbene forte dei successi urbani del 2019, alle presidenziali del 2023 è stata ancora una volta sconfitta da Erdogan, alla guida del paese da più di vent'anni, partendo proprio da sindaco di Istanbul nel 1994. Le urne si aprono mentre la crisi economica che affatica il paese non è risolta. L'inflazione su base annuale resta al 70%, dando slancio anche a una nuova forma di opposizione, più religiosa e conservatrice dello stesso movimento del presidente. Oggi accusa il governo di non affrontare il malcontento sociale. Nelle urne di domenica non c'è soltanto il futuro di Istanbul e Ankara. Se Erdogan riuscisse a riprendere i maggiori centri urbani, avrebbe le forze per riformare la costituzione e garantirsi, come Vladimir Putin, un altro mandato dopo la scadenza del 2028. Dall'altra parte se l'opposizione vincesse e Imamoglu rimanesse sindaco, sarebbe scalfito il lungo corso al potere dell'AKP ed emergerebbe un chiaro potenziale rivale al prossimo voto nazionale.