Caso Regeni, ecco i video che accusano l'Egitto

11 dic 2020
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È questo il video che conferma il coinvolgimento dei servizi segreti egiziani nella morte di Giulio Regeni. È un agente di sicurezza del Cairo quello che prepara la telecamera per filmare l'incontro tra Giulio e il sindacalista capo degli ambulanti, avvenuto poco prima che il giovane ricercatore italiano venisse sequestrato e torturato per nove lunghi giorni, per poi essere ucciso. In questo fotogramma il volto, il primo che si riesca a vedere dopo che per cinque anni l'Egitto ha depistato e nascosto la verità sulla morte di Regeni, di un agente della National Security egiziana, il volto di chi la sera del 7 gennaio del 2016, spegne proprio la telecamera che ha ripreso la conversazione tra Giulio e Mohamed Abdallah. Ne è certa la Procura di Roma che ha coordinato le indagini chiedendo il rinvio a giudizio di quegli uomini dei servizi segreti egiziani, individuati come i responsabili di torture e omicidio. Senza però che la Procura del Cairo, nonostante la rogatoria, ne abbia mai fornito né indirizzi né altro, se non il numero identificativo militare. Proprio questo incontro nel quale il sindacalista chiede più volte a Giulio soldi che il ricercatore si rifiuta di dare, rappresenta per gli inquirenti una vera e propria trappola organizzata da quelle forze di sicurezza che già lo sospettano di essere una spia, dopo la denuncia dello stesso Abdallah. Quando Giulio va via il telefono del capo degli ambulanti inizia a squillare. Abdallah chiede aiuto su cosa fare della telecamera nascosta ma non solo all'interlocutore che dai tabulati telefonici è l'agente del fotogramma, l'uomo chiede se ci sarà qualcuno a riceverlo a città di Nasr dove c'è il quartier generale del servizio di sicurezza interno. Sarà proprio lui a ricevere il sindacalista e porre fine alla registrazione. Con questo agente sono altri 13 gli egiziani insieme a 4 indagati che gli inquirenti italiani ritengono essere a vario titolo implicati nella morte di Regeni. Agenti e ufficiali dei servizi che, dunque, nonostante le evidenze il governo di al-Sisi non sembra in alcun modo intenzionato a consegnare.

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