Pacifica ma implacabile è la protesta dei cittadini sudcoreani a una settimana dal tentativo di imposizione della legge marziale del presidente Yoon Suk-yeol, ora indagato per insurrezione e abuso di potere. Tra bastoncini luminosi, K-Pop e canti popolari, lavoratori e studenti continuano a chiedere le dimissioni di Yoon con scioperi in diverse città che stanno immobilizzando il paese. Il partito di governo ha deciso di boicottare il voto che avrebbe immediatamente sospeso Yoon, ma il presidente è tutt'altro che fuori pericolo. Rimasto lontano dai riflettori nella sua residenza a Seul, è vincolato al divieto di espatrio disposto dalla procura della Capitale, l'opposizione chiede a gran voce il suo arresto immediato. Un secondo voto sull'impeachment è in programma nei prossimi giorni, ma difficilmente risolverà la crisi politica in corso. Il partito di governo non ha Infatti la maggioranza e anche con le dimissioni di Yoon, discusso in questi giorni dai conservatori, le eventuali elezioni anticipate del prossimo anno avranno esito incerto. Per il momento l'Assemblea Nazionale ha indetto una commissione di inchiesta permanente per determinare le responsabilità del caos del 3 dicembre, mentre si attende la decisione della Corte di Seul sull'arresto del ormai ex ministro della Difesa Kim Yong-hyun. La mente dietro al tentato auto-colpo di Stato. Si punta il dito su di lui anche tra le file dell'esercito, il capo delle Forze Armate sudcoreane, conferma di aver avuto quel giorno da Yoon l'ordine di trascinare i parlamentari fuori dall'assemblea e i suoi Colonnelli denunciano: "Siamo stati usati e siamo tutti vittime dell'ex ministro della Difesa".