Donne e bambini, intere famiglie e poi tanti abbracci scambiati con chi era già riuscito ad arrivare in Italia. "Per sette anni non ho visto la mia famiglia". Marì è siriana come gli altri 62 rifugiati di queste immagini, arrivati a Roma grazie ad un corridoio umanitario. Viveva in un campo profughi nei pressi di Beirut e teme che la guerra possa contagiare anche il Libano. "Speriamo di no, ma non lo so". Sono 7mila i profughi finora arrivati in Italia attraverso i corridoi umanitari, nati grazie esclusivamente allo sforzo dei volontari. "L'Unione Europea deve prendere questo impegno politico di lungo periodo di vie sicure e legali di accesso, perché le persone non possono continuare a morire alle nostre frontiere dell'Europa, soprattutto in questo momento, il Libano è così vicino al conflitto tra Israele e Palestina, quindi il nostro pensiero va a tutte le persone che vedono violati i loro diritti, alle vittime di tutte le guerre del conflitto che sono in questo momento in attesa di potersi salvare la vita". "L'accordo che abbiamo con i Ministeri dell'Interno e degli Esteri è per i profughi che sono in Libano, potrebbero essere e lo sono anche molti di essi palestinesi, stanno crescendo i bisogni le guerre non finiscono, come quella di Siria che dura da più di 14 anni, le guerre cominciano ma non si chiudono e quindi i drammi di queste persone aumentano, si moltiplicano". Ahmed aveva 16 anni quando sono iniziati i bombardamenti su Homs, dove è nato. Ora ne ha 30 e dice di sentirsi finalmente al sicuro, insieme a suo figlio e a sua moglie, ma indietro ha lasciato la famiglia d'origine e teme che in Libano la situazione possa precipitare. "Il corridoio umanitario mi ha permesso di arrivare qui legalmente", spiega, "senza dover rischiare la mia vita e quella dei miei familiari su un barcone in mare. Ora spero di dare un futuro sicuro a mio figlio".