Se un cinguettio può fare molto rumore, lo stesso può dirsi della sua assenza. Elon Musk, il bizzarro imprenditore sudafricano che da qualche anno vende così bene se stesso al punto da essere diventato l’uomo più ricco al mondo grazie alle quotazioni di Tesla -l’azienda di auto elettriche che acquistò quasi vent’anni fa- ha recentemente comprato l’amato social media Twitter per liberarlo, a suo dire, dalla censura. Nelle ultime settimane era diventato idolo dei Trumpiani riabilitando l’account dell’ex Presidente, sospeso per disinformazione e incitamento alla violenza. Ma il senso di Elon per la coerenza non sembra troppo spiccato. Per quanto gli piaccia tantissimo che si parli di lui -celebre l'intervista in cui fumava una canna in diretta- quello che oggi è uno degli uomini più in vista del pianeta vorrebbe però anche scegliere cosa di lui si debba dire. Quindi, da vero Zar di Twitter, ha sospeso senza preavviso i seguitissimi account di 8 giornalisti delle più famose testate americane (New York Times, Washington Post e CNN, tra gli altri), accusandoli di “doxxing”, aver cioè rivelato tramite la diffusione di un link i movimenti, pubblici, del suo jet privato. Mettendone a rischio -dice lui- l’incolumità. Apriti cielo. È censura a corrente alternata? È un diritto, perché Twitter è suo? E allora, Trump? Avvolto in fumosi discorsi, Musk confonde libertà di parola con il diritto di dire la qualunque -alcuni giorni fa chiese di processare il virologo Anthony Fauci- accomuna persone normali a personaggi pubblici, e soprattutto pare considerare la sua attività al di sopra delle leggi in quanto “privata”. Per fortuna, non funziona proprio così. L’Unione Europea sta valutando la violazione delle regole sulla libertà dei media, che in uno spazio pubblico, anche virtuale, serve a garantire la democrazia. In America, invece, per ora risponde il mercato. E con un click, sono crollate anche le azioni delle aziende dell’ex uomo più ricco del mondo.