Autobus carbonizzati, negozi saccheggiati, i passeggeri bloccati in aeroporto, scontri tra manifestanti con il volto coperto, la Polizia che risponde con lacrimogeni e getti d'acqua. Giorni di violenza come non si vedevano da anni, in Cile, nonostante lo stato di emergenza e il coprifuoco totale decretato in cinque Regioni del Paese. Centinaia le persone arrestate, diversi i morti. “Il popolo unito non sarà mai sconfitto” scandiscono i manifestanti, riprendendo lo slogan contro il regime di Augusto Pinochet. E i soldati e i carri armati di nuovo per strada per la prima volta dal ritorno alla democrazia, evocano i giorni bui della dittatura. “Siamo in guerra contro un nemico potente e implacabile, che non rispetta nulla o nessuno”, dice il Presidente cileno per giustificare il pugno di ferro del suo Governo contro i disordini iniziati contro l'aumento delle tariffe nei trasporti. Le proteste sono in realtà il campanello d'allarme di una povertà ormai dilagante tra la popolazione. Un fuoco di rabbia che non accenna a placarsi. Inutile la mossa in extremis del Governo di sospendere l'aumento delle tariffe della metropolitana. Inutile anche l'annuncio di voler convocare presto un tavolo di dialogo ampio e trasversale. Il malcontento tra la gente è profondo. I rincari hanno riguardato tutti i settori. Il costo della vita è sempre più insostenibile e le ingiustizie sociali diradano. È bastata questa foto di Piñera, che lo ritrae in un ristorante del centro di Santiago, venerdì sera, per attirare una valanga di critiche. Il Presidente mangia serenamente la pizza, mentre fuori il suo Paese brucia.