Hassan Nasrallah è stato chiaro: l'esplosione dei cercapersone e dei walkie talkie avvenuta martedì e mercoledì che ha causato circa 40 morti e oltre 3.000 feriti, per il leader di Hezbollah è una dichiarazione di guerra da parte di Israele, contro la sovranità del Libano. In un discorso alla Nazione, durante il quale caccia israeliani hanno rotto la barriera del suono due volte e l'esercito ha continuato a colpire il Sud del Paese, il chierico sciita ha ammesso il colpo subito, ma ha anche promesso vendetta contro uno Stato, quello ebraico, che fino ad oggi non si è ancora pronunciato sulle ondate di attacchi che hanno violato la rete di sicurezza del movimento sciita filo-iraniano. Eppure, secondo fonti di stampa internazionale, ci sarebbe il Mossad, e gli attacchi sembrerebbero essere solo il preludio di uno scontro diretto con Hezbollah. D'altronde le esplosioni che hanno scosso Dahiya feudo di Hezbollah, il Sud, la Valle della Beqà altra roccaforte del movimento, sono arrivate proprio dopo le minacce di Israele di ampliare il raggio di azione della guerra con il Libano e l'approvazione dei piani di attacco e difesa per la regione settentrionale da parte del Capo di Stato Maggiore israeliano Herzi Halevi. L'obiettivo del Premier Benjamin Netanyahu è riportare a casa gli oltre 60mila sfollati israeliani. Il Ministro della Difesa israeliano Yoav Gallant concorda, ma forse è il più cauto parlando di questa nuova fase della guerra contro Hezbollah, non solo come di opportunità ma anche di rischio. Hezbollah non è Hamas e Israele sa bene che inasprire il confronto con il movimento sciita libanese vorrebbe dire prepararsi a combattere non contro una milizia, ma contro un vero e proprio esercito. Intanto il rischio di un'escalation porta il Capo del Pentagono Lloyd Austin a posticipare il suo viaggio in Israele in programma agli inizi della prossima settimana.