Il nodo da sciogliere rimane sempre lo stesso, per Hamas la condizione necessaria per raggiungere un'intesa con Israele è un "Cessate il fuoco" permanente all'interno della Striscia di Gaza, che avverrebbe nella seconda fase della roadmap delineata dall'amministrazione americana di Joe Biden ma che per ora il premier israeliano Benjamin Netanyahu non ha accettato perché incline solamente ad una tregua temporanea prevista nella prima fase. Un modo per il leader del Likud per fronteggiare le pressioni esterne ed interne al suo Governo, da una parte le sei settimane durante le quali varrebbe rilasciata una parte degli ostaggi verrebbero ampiamente accolte con favore in un Paese in cui il fallimento nel liberare tutti coloro che sono detenuti da Hamas è per molti un'evidente macchia morale sulla gestione della guerra da parte di Netanyahu. Dall'altra il Primo Ministro riuscirebbe così a far fronte alle pressioni dell'ultradestra oltranzista che si oppone alla cessazione delle ostilità perché agli occhi dei nazionalisti un "Cessate il fuoco" permanente darebbe tempo e spazio ai miliziani di Hamas di riorganizzarsi e potenzialmente sferrare attacchi simili a quelli del 7 ottobre. Netanyahu al momento può godere del sostegno del partito ultra religioso Shas che si è schierato in toto a favore del piano Biden. Intanto si riaccende il fronte nord con la minaccia del Capo di Stato Maggiore dell'Idf, Herzi Halevi, di aprire un fronte di guerra con il Libano dove gli attacchi incrociati tra Hezbollah, il Movimento sciita libanese alleato dell'Iran e l'Esercito israeliano, che fanno avanti da quasi otto mesi, rischiano di sfociare in un conflitto prolungato, per ora a bassa intensità.























