Un omicidio dai contorni rimasti misteriosi. Un delitto avvenuto in una sede diplomatica e un corpo che non è mai stato ritrovato. Per la morte del giornalista Jamal Khashoggi, ucciso nel consolato Saudita di Istanbul il 2 ottobre del 2018, oggi 5 persone, ritenute gli esecutori materiali, sono state condannate a morte dalla Procura di Riad e ad altre 3 sono stati inflitti complessivamente 24 anni di carcere per aver cercato di insabbiare il crimine. Prosciolto invece per mancanza di prove l'assistente del Principe ereditario, ritenuto non colpevole. Eppure le indagini dell'ONU avevano portato alla luce prove credibili di responsabilità individuali sia del Principe che del suo consigliere. Assolto anche il numero due dell'intelligence, che era sospettato di aver supervisionato l'assassinio. Jamal Khashoggi, giornalista noto per le sue posizioni molto critiche nei confronti di Riad, entrò al consolato di Istanbul per ottenere i documenti necessari per il suo matrimonio, ma da lì non uscì vivo. Secondo le ricostruzioni delle Nazioni Unite, mentre la fidanzata lo attendeva fuori dalla sede diplomatica, lui all'interno veniva soffocato e fatto a pezzi. Nel documento di 100 pagine che ripercorre quel 2 ottobre ci sono dettagli raccapriccianti che disegnano i contorni di un delitto definito un crimine internazionale, del quale l'Arabia Saudita è ritenuta responsabile in base alle leggi internazionali sui diritti umani. Un'esecuzione deliberata e premeditata. Eppure nelle conclusioni della Procura di Riad si legge il contrario, cioè che l'omicidio non era previsto, nonostante l'esistenza delle ormai note registrazioni audio dei servizi segreti turchi, che rivelarono come già 13 minuti prima che Kashoggi entrasse in consolato due agenti sauditi discutessero su come smembrare il suo cadavere.