Crescita bassa e crisi dei consumi, una popolazione che invecchia e i giovani disoccupati. La Cina conta i suoi problemi e prova a tamponare accelerando sulla riforma delle pensioni. A partire dal prossimo anno, l'età pensionabile nel paese salirà da 60 a 63 anni per gli uomini da 55 a 58 per le donne impiegate e da 50 a 55 anni per le operaie. Cresce anche il numero degli anni minimi di contributi che passeranno da 15 a 20 entro il 2035. La proposta del comitato permanente dell'Assemblea Nazionale del Popolo, vale a dire l'organo legislativo più importante nel sistema cinese, era attesa da tempo. Cerca di dare seguito alle priorità del presidente Xi Jin Ping. Invertire il trend demografico al ribasso e rinnovare la forza lavoro. Un problema pressante per il colosso asiatico in un circolo vizioso con il rallentamento economico tanto che Pechino difficilmente raggiungerà l'obiettivo di crescita del 5% del PIL fissato per quest'anno. Ad incidere, è anche il problema della natalità: se l'aspettativa di vita in Cina è salita a circa 78 anni, sono sempre meno le coppie che scelgono di avere figli e lo scorso anno la Repubblica Popolare ha perso il primato di paese più popoloso al mondo. A poco sono serviti gli incentivi voluti da Xi; il rivoluzionario cambio della politica del terzo figlio, sussidi di maternità, perfino il recente divieto di dare in adozione bambini cinesi a coppie straniere. E la critica chi preferisce gli animali domestici ai figli. Il trend demografico non sembra risollevarsi. Lavorare più a lungo consentirà al governo di alleggerire la pressione sui bilanci pensionistici; ma se adulti ed anziani sembrano aver accolto senza troppi problemi la misura, i giovani cinesi non ci stanno. Sono loro i più penalizzati nonostante una formazione accademica sempre più al passo con il resto del mondo e sui social c'è chi abbozza un'insolita critica alle autorità: prima di chiederci di lavorare di più, chiedono gli utenti, aiutateci a trovare un impiego.