Wall Street batte record su record. Il Senato ha approvato il budget, primo passo per arrivare ad un via libera alla riforma fiscale, ma Donald Trump continua a essere un Presidente profondamente divisivo, anche all’interno del suo partito. Fra gli ultimi, in ordine di tempo, ad esprimere perplessità sul suo operato è l’ex Presidente George W. Bush, che in un accorato discorso a New York si è scagliato contro il nazionalismo, che diventa nativismo, contro un’intolleranza che sembra rinvigorita contro una politica che sembra sempre più vulnerabile alle teorie del complotto contro il bigottismo, il bullismo e il suprematismo bianco, considerati una blasfemia. Non cita mai Trump, ma va a colpire, così, i cardini del trumpismo con le sue parole. “Siamo eredi di Martin Luther King riconoscendoci l’un l’altro non per il colore della nostra pelle, ma per il nostro carattere”, ha concluso Bush, sottolineando che persone di ogni razza, etnia o religione possono ugualmente essere americane. Parole dure sostenute anche da John McCain, altro pezzo da novanta del partito, che nei giorni scorsi ha ammonito dal pericolo a cui può portare il nazionalismo. Parole che segnano il tormento che si sta vivendo fra repubblicani divisi fra trumpiani e classici conservatori. Parole che fanno eco, seppur con termini ben più moderati, a quelle dell’ex Presidente Barack Obama, impegnato in prima linea per le prossime elezioni in New Jersey, in Virginia. Il predecessore di Trump invita a non tornare al diciannovesimo secolo e a rifiutare la politica della divisione e della paura, precisando che chi vince le elezioni dividendo la gente difficilmente sarà, poi, in grado di governarla.