È un tour de force di comizi, a colpi di promesse, slogan, bagni di folla accuratamente coreografati. Nelle ultime settimane prima delle elezioni, Trump e Harris girano come trottole da uno Stato all’altro. La vicepresidente, col vento in poppa nei finanziamenti e un leggero vantaggio anche nei sondaggi, ha fatto tappa nella tana del lupo, le contee della Pennsylvania bianche e operaie che una volta votavano Democratico ma che Trump ha stravinto nel 2020, nel tentativo di convincerle, e conquistare uno Stato che potrebbe, da solo, valere la Casa Bianca. Liquida l’avversario Repubblicano come egoista e divisivo, poi passa a vendere il messaggio di quella che chiama “economia delle opportunità” per la classe media, condito dalla solita difesa del diritto all’aborto per intercettare il voto femminile. L’immigrazione è invece il cavallo di battaglia di Trump, la paura lo strumento retorico. Sul suo campo da golf di Los Angeles, di cui magnifica le doti come location per matrimoni, racconta di come sotto l’amministrazione Democratica la California sia devastata da incendi e catastrofi naturali, impoverita e preda di sbandati. La stessa fine che, dice, farà l’America, a meno che, ovviamente, non venga eletto lui. Trasforma aneddoti inverificati in statistiche, e promette di liberare il Paese da una immaginaria invasione di immigrati con una grande deportazione di massa che comincerà da due pacifiche e fino ad oggi semisconosciute cittadine in Ohio e Colorado. Poi vola a Las Vegas, nel conteso Nevada, dove tra gli applausi della folla si autonomina “Presidente di Confine”.