Quello che una volta si poteva definire: l'Islam dagli occhi a mandorla, oggi meno poeticamente, è una questione di diritti umani che riguarda la minoranza uigura di religione musulmana che vive in Cina nella Regione dello Xinjiang. E che è finite in prima pagina sul New York Times che ha pubblicato documenti esclusivi sulla repressione attuata dal governo cinese, senza la minima pietà avrebbe ordinato, lo stesso Presidente Xi Jinping. Le autorità di Pechino, negano stizzite, ma il caso trova spazio e risonanza che in passato non aveva avuto, come testimonia anche l'assegnazione del premio Sakharov del Parlamento europeo a Ilham Tohti, leader uiguro, in carcere dal 2014. Pechino iniziò a usare il pugno di ferro per reprimere le aspirazioni indipendentiste nate dopo la disgregazione della vicina Unione Sovietica. Poi, dopo gli attentati dell'11 settembre fece rientrare la lotta contro i separatisti uiguri nella guerra globale al terrorismo. Così, mentre oggi la televisione di stato trasmette le immagini di una Regione modello nei siti di attivisti e ONG passano quelle di arresti di massa e campi di detenzione, a corredo di reporter e dossier che denunciano le violazioni sistematiche dei diritti umani. Per la Cina un altro fronte interno, particolarmente importante perché lo Xinjiang è ricco di materie prime e da qui passano le rotte della via della seta. Per le cancellerie internazionali, al momento, un altro fronte di divisione, a seconda delle relazioni intrattenute con il gigante cinese.