Sky Inclusion Days - Diversamente Diverso

16 mag 2023
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Io appunto lascio il palco a Mariano Gallo, in arte Priscilla, attore e attivista per i diritti della comunità LGBTQAI+. Interpreta il monologo "Diversamente diverso" scritto e diretto da Luciano Melchionna tratto dallo spettacolo teatrale "Dignità autonome di prostituzione". Buona visione. Grazie. No eh? Doveva essere una verticale. Niente. È da quando ero piccolo che provo a farla ma non mi riesce. Forse perché sono un diverso. E oggi mi piacerebbe ricordare a tutti voi quanto può essere doloroso sentirsi anormali.. ancora oggi. Anormali sì, e solo perché onesti con se stessi, leali con i propri sentimenti, autentici insomma, in una società che stigmatizza e cesella con strumenti sempre più raffinati la finzione. Tutto ciò che fluisce normalmente è messo al bando. E perché? Perché è anormale. Non si può vivere come si è. Perché? Perché è anormale. Ma è ovvio.. un bisturi perfeziona il viso quanto l'anima, a richiesta. Prezzi modici apparentemente per un ambizioso investimento sul futuro della propria infelicità. Che poi così diverso io? In fondo non sono che un animale anch'io. Sì un animale che si dà un tono, delle arie, ma resto pur sempre un animale. Anche se ho studiato, se mi appassiona il teatro e se mi piace andare al cinema a vedere quei film che la gente del cazzo, scusate quando ci vuole ci vuole, definisce pesanti. Ma si può definire un film pesante? E dai.. Pesante è un vaso che ti cade in testa, una macchina da sollevare, un elefante ma non un film. Dai. E vi avverto: anche se sono un diverso a tutti gli effetti resto pur sempre un animale. E vi assicuro che se avessi voglia di fare l'animale normale ci riuscirei. Ridi? Tu non credi proprio che io possa essere normale, eh? Ah già, dovrei essere più virile e maschile. Virile e maschile e quindi normale. E no, sono un diverso. Però bello e fresco come sono faccio terra bruciata intorno a voi femmine. Ce li rubi tutti tu i maschioni ! Ma che vi rubo? Ma che sono un virus che m'attacco e me li prendo? Il mondo gira come gli pare e se sono come sono è perché gli è girato così. Non sei d'accordo? Ah già, un altro equivoco della nostra società: credere che per emergere bisogna sempre dire di no, contraddire, provocare gratuitamente, far spiccare la propria intelligenza umiliando gli altri a prescindere da torto o ragione. Io invece credo che bisognerebbe cominciare a dire sì, sì, sì.. E invece no. Prevale la teoria dello schiaffo e del pugno. In che cosa consiste? Uno, nessuno e centomila. Hai presente? Pirandello. Fighissimo. Te lo spiego: io e te parliamo ma non ci capiamo perché io, uno, parlo con te ma ho la sensazione di parlare con nessuno perché tu mi rispondi centomila stronzate che non c'entrano niente col concetto da me espresso. Qual è la soluzione? Qual è? Uno schiaffo o un pugno e io proseguo dritto, sereno e risolto per la mia strada. E invece no. Sì, sono un po' arrabbiato. E lo sai perché? Perché non fai a tempo a venire al mondo che subito cominciano a insegnarti come devi essere, a dirti quello che puoi fare e quello che non puoi fare, quello che puoi dire e quello che non puoi dire. E ti fanno crescere con la convinzione che se dici quello che pensi sei un reietto schifoso, subito emarginato dalla società e sei destinato a restare solo come un cane. Ti fanno crescere con quella sensazione che ti preme sul petto e che ti toglie il fiato, che ti paralizza e che non ti permette di agire e di reagire. Senso di oppressione. Capisci di che cosa parlo? Ti è mai capitato di stare fermo ad un semaforo davanti alle strisce pedonali e di veder passare un'auto con a bordo un gruppo di ragazzi o ragazze che si sporgono dal finestrino e ti urlano: "Ricchiò..". Frocio. Carini loro. Pensavano l'avessi dimenticato e forse volevano ricordarmelo. E magari quelle adorabili carognette senza testicoli ti lanciano pure qualcosa. Ma non fa male, a meno che quello che ti lanciano non ti prenda in pieno, ma dico il "ricchiò.." non fa male. Perché in qualche modo loro hanno colto la mia essenza. Io sono ricchione. Non fa male. Ma è opprimente perché subito dopo io mi guardo addosso e mi interrogo su cosa ho che non va, su cosa loro hanno visto in me che non va e sul perché hanno sentito così forte l'esigenza di urlarmelo in faccia con così tanta rabbia. E mi odio quando lo faccio perché ogni volta che sto ferma ad un semaforo davanti alle strisce pedonali in attesa di attraversare la strada io mi guardo addosso con la speranza che non passi un'auto con a bordo un gruppo di ragazzi che si sporge dal finestrino e mi urla "ricchiò..", concentrando su di me l'attenzione degli astanti e facendomi diventare un fenomeno da baraccone. Perché io sono un fenomeno, ma non da baraccone. Oppure vi sarà capitato di tornare a casa, accendere la TV e trovare un gruppo di persone comodamente sedute, ben vestite, colte, quel genere di persone che scrive per i giornali, che tiene rapporti di buon vicinato e che guida tutto il giorno la Mercedes e poi va nei salotti televisivi indossando scarpe biologiche di bava di bruco, e sono tutti lì seduti comodamente a fare un dibattito ponderato, un dibattito ponderato in TV, un dibattito ponderato in TV su di te, su chi sei, se puoi essere o meno un buon genitore, se sei o meno una minaccia per il matrimonio e la famiglia tradizionale, se Dio stesso pensa o meno che tu sia un abominio, se sei o meno intrinsecamente disordinato. Intrinsecamente disordinato. E anche la conduttrice che tu hai sempre visto come un'amica perché in TV è gentile con tutti crede che sia giusto, normale, adorabile fare un dibattito ponderato in TV su di te, su che genere di persona sei e su quali diritti ti debbano essere concessi. Quali diritti ti debbano essere concessi. Questo fa male. Gente che si mette in fila, avvocati, ministri, senatori, scrittori, presentatori per venirmi a spiegare da cosa mi sia consentito sentirmi oppresso, gente che non si è mai dovuta guardare addosso ferma ad un semaforo davanti alle strisce pedonali. Questo fa male. Dire quello che pensi significa sfogarti, significa poter vivere la vita per come la sentiamo, significa poter dire "grazie", "sei bella", "scusami", "oddio non ci conosciamo ma io scoppierei a piangere tra le tue braccia per come mi guardi", significa poter vivere la vita per come la sentiamo ciascun uno, ciascun nessuno e ciascun centomila. Sono arrabbiato. Anzi no, scusate. Sono incazzato. Però non sono accecato dalla rabbia. Io non sono normale. Io sono diverso. Sono diverso perché mi piace essere onesto e mi piace stare in regola. Sono onesto perché mi piace salutare la gente che incontro per strada come faceva mio nonno. Sì, sono diverso perché sono uguale a lui e quindi un po' anacronistico forse. Sono diverso perché attraverso sulle strisce pedonali o perché mi fermo ad un semaforo rosso alle 5 del mattino con le strade vuote solo per sicurezza. Sono diverso perché saluto le persone che incontro tutte le mattine sotto casa. Sono diverso perché aiuto una persona anziana ad attraversare la strada. Sono diverso perché affronto il mio lavoro onestamente e parlo chiaramente con i miei colleghi. Sì, sono diverso perché loro all'istante pensano che io bluffi perché è da normali tramare alle spalle, è da normali passare sul cadavere del tuo prossimo, è da normali pensare sempre e solo al proprio tornaconto. Sono diverso perché mi commuovo vedendo due ragazze che si tengono per mano o perché spero quando vedo un papà affettuoso con in braccio il suo bambino e magari il papà è frocio o è adottivo e chissenefrega! E sono diverso perché mi scaldo fino alle lacrime per difendere una questione che mi sta a cuore. Sono diverso perché ho bisogno di stupirmi. Hai fatto caso che non ci si stupisce più? Prendi i bambini. Prima erano un continuo stupore, no? Gli portavi un giochino stupido e loro "ohhh", ora gli porti i regali costosi, complessi, complicati, li scartano, li lanciano in mezzo agli altri giocattoli con l'espressione degli occhi sempre uguale. Lo stupore è fondamentale per lanciarsi nella vita e nel sogno. Lo stupore è fondamentale per innamorarsi. Poi capita che qualcuno mi guarda negli occhi e mi dice: "ti capisco". Ti capisco. Ti accolgo. Ti riconosco. È questo quello che abbiamo bisogno di sentirci dire, no? Ti capisco. Sorridi e sai perché? Perché mi capisci e quello che non capisci lo senti perché a noi due ci accomuna la voglia di vivere fino in fondo quello che sentiamo, il desiderio di libertà, la voglia di vedere gli altri più sereni. Siamo simili. C'abbiamo un gran coraggio. E pure una fottutissima paura. Paura di quelli che non amano la vita, che non amano se stessi e che non hanno niente da perdere. Siamo diversi, sì, da loro. Facciamo un figlio? Forse è un po' prematuro. Però non ti nascondo che mi piacerebbe un sacco. Verrebbe coraggioso e molto sensibile. Frocio? Ninfomane? Facciamo.. libero. Fluido. Quando e se sarà lo faremo. E lui crescerà diverso, in un mondo di diversi, dove i normali si studieranno sui libri di scuola. Grazie.

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