La catena di responsabilità che ha permesso ad Artem Uss di scappare è lunga e complessa e non è detto che si riuscirà mai a ricostruirla, è un intrigo di competenze che parte dalla Corte di Appello di Milano e finisce al Ministero della Giustizia di Carlo Nordio. Secondo l'ultima ricostruzione fu proprio il guardasigilli a non inviare alla Corte d'Appello di Milano la richiesta del dipartimento di giustizia USA di revocare il regime degli arresti domiciliari cui beneficiava l'imprenditore russo. Carlo Nordio avrebbe inoltrato a Milano solo la sua risposta con cui spiegava che la decisione sul regime carcerario competeva all'autorità giudiziaria e non al Ministero. La Procura Generale di Milano però ha sempre spiegato di essere stata contraria agli arresti domiciliari di Uss, una decisione della Corte d'Appello e che avrebbe potuto muovere qualche passo solo in caso di violazione da parte del russo, cosa che, fino alla sua fuga, non è avvenuta. Il cerino quindi resta nelle mani della Corte d'Appello milanese, la quale però, attraverso l'ANM, obietta che gli arresti domiciliari sono sempre preferibili e che il carcere rappresenta l'extrema ratio nei casi di carcerazione preventiva. Quindi tutto a posto. E però no. Perché quel che resta, alla fine di questo lungo gomitolo di responsabilità, è che è stata presa la decisione sbagliata, visto che, in definitiva, Uss è scappato. E forse qualche sospetto di fuga il suo profilo poteva sollevarlo. Figlio di un'oligarca siberiano, Alexander, amico di Putin, Artem è accusato, tra l'altro, di aver ottenuto tecnologia militare e di aver contrabbandato milioni di barili di petrolio e aver riciclato decine di milioni di dollari per gli oligarchi russi. Il classico caso in cui forse la carcerazione preventiva sarebbe potuta essere applicata senza sollevare dubbi sull'eccessiva disinvoltura con cui in genere l'Italia la utilizza.