Istanza dopo istanza attraverso l'indicazione di nuove piste, nuovi filoni d'indagine per Pietro Orlandi, un piccolo ma fondamentale passo in avanti. Il promotore di giustizia vaticana, Alessandro Diddi, ha infatti deciso di far ripartire le indagini sulla scomparsa di Emanuela, avvenuta a Roma ormai quasi 40 anni fa. Gli accertamenti saranno affidati alla gendarmeria che batterà piste già seguite in passato e cercherà conferme su nuove ipotesi investigative. Si ricomincerà in pratica da capo. Verranno riesaminati tutti i fascicoli, i documenti, le segnalazioni, le informative e le testimonianze, un lavoro che si annuncia lungo e complesso per provare a chiarire dubbi, sospetti, ombre e magari chiudere una vicenda che ha scosso la Santa Fede e le sue istituzioni in un percorso giudiziario e investigativo che ha sfiorato ipotesi di ogni tipo, coinvolto servizi segreti e cancellerie di mezzo mondo ma anche la Banda della Magliana fino ad Ali Agca, l'ex lupo grigio che aveva sparato a Papa Wojtyla. Emanuela Orlandi aveva 15 anni quando scomparve nel pomeriggio del 22 giugno 1983. Le sue tracce si perdono in piazza Sant'Apollinare, nei pressi della Basilica dentro la quale, molti anni più tardi si scoprì che era sepolto uno dei capi della Banda della Magliana, Enrico De Pedis, "Renatino", secondo testimoni, esecutore materiale del sequestro per conto di alti prelati. Piste false, inchieste giudiziarie aperte e chiuse. Ora si riaccendono i fari su uno dei grandi misteri italiani, fari che si erano spenti nel 2015 quando il gip, su richiesta della procura per mancanza di prove, archiviò. Tre anni dopo un barlume quando il Vaticano diede il via libera ad analizzare le ossa ritrovate nella sede della Nunziatura Vaticana che si rivelarono poi reperti di epoca romana poi più nulla fino ad oggi.