Il bilancio delle vittime dell'ennesimo naufragio tra la Libia e la Sicilia è ancora imprecisato, ma il numero sembra molto alto, secondo quanto riferisce il servizio di allerta Alarm Phone, che nella notte aveva raccolto e girato alla Guardia Costiera libica una richiesta di soccorso da un barcone in difficoltà con un centinaio di migranti a bordo. I sopravvissuti riportati in Libia sono una sessantina; pochi finora i corpi senza vita, soprattutto di donne e bambini recuperati dalle motovedette libiche arrivate sul posto quando molti dei naufraghi erano già spariti tra le onde. 101 persone sono state invece salvate dalla nave Eleonore della ONG Lifeline mentre erano a bordo di un gommone semiaffondato a 43 miglia dalla città di Al-Khoms. Ma l'Italia nega alla nave il porto di sbarco e il Ministro dell'Interno ha firmato il divieto di ingresso, transito e sosta nelle acque italiane e ha trasmesso il provvedimento ai Ministri della Difesa e dei Trasporti. Intanto da un porto siciliano è ripartita la nave Mare Ionio della piattaforma di associazioni umanitarie sostenuta da cittadini e varie associazioni laiche e religiose. In navigazione da tre giorni, Mediterranea denuncia come la zona SAR a est di Tripoli sia diventata ormai teatro di ripetute catture di profughi di guerra da parte dei libici, coadiuvati, dice la ONG, negli interventi di intercettazione da assetti aerei militari di Paesi dell'Unione europea. "In un clima di silenzio e connivenza da parte degli Stati europei", continua Mediterranea, "sembra sia diventata prassi ordinaria un crimine gravissimo: respingere centinaia di persone verso un porto non sicuro, in un Paese, la Libia, dove rischiano la vita e subiscono trattamenti inumani e degradanti".