Quel contatto preliminare tra la Giulietta dei Carabinieri e lo scooter su cui si trovavano i due giovani sembra essere il nodo per definire la dinamica esatta dell'incidente, del 24 novembre scorso a Milano, in cui perse la vita il diciannovenne egiziano Ramy Elgaml dopo un lungo inseguimento con i militari dell'Arma. Ci fu quel contatto, secondo la controperizia dell'ingegner Matteo Villaraggia per conto dell'avvocata Barbara Indovina che assiste la famiglia della vittima. Non ci fu invece, secondo la perizia di tre settimane fa, firmata dall'ingegner Marco Romaniello, consulente della Procura. L'urto avvenne, dice la controperizia voluta dai genitori di Ramy, non vicino al palo semaforico, ma in via Ripamonti, poco prima dell'intersezione dove i due veicoli erano affiancati, un urto tangenziale di lieve entità, si spiega nel documento agli atti. Tale tuttavia da spingere lo scooter verso sinistra e innescare la serie di eventi che ha portato alla tragedia. Urto, variazione di traiettoria, frenata del conducente, scarrocciamento dello scooter e traiettoria curvilinea, perdita di controllo per il fondo liscio dell'intersezione e infine caduta. Il fatto è che magari, scrive il perito, se il motociclo non fosse stato urtato avrebbe proseguito mediante una traiettoria rettilinea. Il consulente sottolinea inoltre la difficoltà di una corretta ricostruzione. Perché il palo semaforico accanto al quale fu trovato il corpo di Ramy, non solo non venne messo sotto sequestro, ma venne subito smaltito dall'azienda milanese dei rifiuti. Si sarebbero potute dimostrare due cose importanti per la dinamica, l'urto tra il palo e il corpo di Ramy e la velocità dell'auto all'impatto con il semaforo.