Tornare sul palco, nel senso di vedere il teatro che si riapre, gli spettatori che entrano, significa in qualche maniera ricominciare lì, da quella normalità che dovrebbe essere il punto di partenza, sempre, ogni volta. Il teatro non è sostituibile con qualche altra cosa. Di nuovo in scena Ascanio Celestini è tornato sul palcoscenico appena è stato possibile: un minuto dopo la mezzanotte. Nel giorno in cui il teatro riapre le sue porte al pubblico, il primo appuntamento in Italia è nelle Marche, allo Sperimentale di Pesaro, una riflessione sulla storia e sulla memoria, l'occupazione nazista, la strage delle fosse Ardeatine. Vent'anni di repliche per Radio Clandestina, ma questa volta con le regole scritte dall'emergenza sanitaria. La memoria di questo presente che stiamo vivendo adesso ci servirà nel futuro. In quale maniera ci servirà io ancora non lo so, nessuno di noi ancora lo sa. Poi abbia fatto veramente tanti errori nel corso di queste settimane che forse anche la memoria di questi errori ci servirà. In teatro a Pesaro posti ridotti per garantire il distanziamento. Da 500 a poco più di 100. Sulle poltrone che devono restare vuote un cartello immagina il pensiero dello spettatore escluso. Adesso che vediamo la riapertura di qualche, timidamente, di qualche teatro ci chiediamo anche se ha avuto senso chiuderli. Cioè se il pericolo era l'incontro tra le persone, quindi il contagio, forse aveva anche senso tenerli aperti i teatri, magari con un solo spettatore. Per dire che quel pezzo della nostra cultura non veniva messo da parte. Di questa prima serata dopo la pandemia Ascanio Celestini quale ricordo, quale emozione conserverà? Io ho vissuto proprio uno spaesamento, non mi ricordo in questi ultimi 25 anni che mi sia mai successo di fermarmi proprio per tre mesi senza un'idea di quando sarei tornato sul palco, nel teatro. Perché non è sostituibile la relazione tra le persone in uno stesso luogo.