Il PNRR appartiene a tutti gli italiani, così ha detto il Premier Mario Draghi qualche giorno fa da Genova. Ma, a quali in particolare? Perché le polemiche degli ultimi giorni hanno riesumato le divisioni tra Nord e Sud. Il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza prevede nello specifico che il 40% delle risorse europee vada alle Regioni del Mezzogiorno, più della quota che spetterebbe al Sud se tenessimo conto della popolazione o dell'economia. L'obiettivo è chiaro: contribuire a ridurre le disuguaglianze territoriali che ancora persistono. Facile a dirsi ma difficile a farsi. Le strade per salvaguardare il Sud sono sostanzialmente tre, analizzate dall'Ufficio Parlamentare di Bilancio. I bandi per distribuire le risorse del PNRR possono prevedere una graduatoria nazionale, riservando però il 40% delle risorse ai progetti proposti sul territorio del meridione, e questa è la prima opzione. È stata seguita questa strada, per esempio, per il bando per le case popolari da quasi 3 miliardi di euro. Una seconda possibilità, invece: prima dividere le risorse per macro aree, quindi 60% al Centro-Nord e 40 al Sud, e poi scegliere i progetti migliori. Oppure, terza ipotesi: assegnare le risorse tra le Regioni sulla base di criteri di distribuzione, come è stato fatto per il bando per la realizzazione di 265.000 posti in più negli asili nido. Destinare una quota fissa al Sud Italia da una parte tende a ridurre le disuguaglianze territoriali ma dall'altra rischia di lasciare senza soldi progetti che avrebbero migliori speranze di essere portati a termine. È la classica scelta tra redistribuzione ed efficienza. È ciò di cui si lamentano Governatori e Sindaci del Nord. Un parco urbano a Busto Arsizio o un impianto di trattamento dei rifiuti a Rovigo potrebbero in teoria essere esclusi dai fondi del PNRR in favore di progetti nelle Regioni del Sud, anche se meno efficaci e facilmente realizzabili, ma queste sono le regole del gioco.