Una fabbrica che doveva essere venduta perché non ritenuta più strategica, con meno della metà del personale al lavoro rispetto agli anni '80 e con una storia ultracentenaria alle spalle, ma senza un futuro chiaro di fronte. Questo era lo stabilimento di mezzi corazzati e bocche da fuoco di Leonardo, a La Spezia, la vecchia fabbrica Oto Melara. Poi in Ucraina è scoppiato un genere di guerra che si pensava dimenticato, ad alta intensità, combattuta con continui scambi di artiglieria e incursioni di mezzi corazzati. E, per il nostro esercito focalizzato da trent'anni su missioni di pace e altra natura, è cambiato tutto. Oggi lo stabilimento lavora a pieno regime con i suoi 1.350 addetti tra operai, tecnici e ingegneri. Il 43% in più rispetto a 5 anni fa, e si punta a raggiungere i 1.900 entro un triennio. "In termini di personale noi stiamo assumendo circa 250 persone all'anno di tutte le tipologie. Prendiamo prevalentemente tecnici ed operai dal territorio. In termini invece di laurea STEM, siamo avvantaggiati in questo momento dalla crisi dell'automotive, per cui molto personale che viene da fuori provincia preferisce venire a lavorare da noi. Tutto questo chiaramente è però un processo continuo che mette a dura prova i nostri uffici recruiting personale perché comunque la ricerca di personale è estremamente difficoltosa". Addetti che avranno bisogno di spazio per rispondere all'aumento degli ordini di circa il 30% all'anno. Nel 2025 l'obiettivo è raddoppiare la capacità produttiva potenziale, con la rimessa a nuovo di capannoni in disuso e la possibile espansione verso la vicina ex centrale a carbone. Qui si producono cannoni navali per le marine di mezzo mondo, armate di munizioni guidate per colpire droni e missili in avvicinamento, senza dover impiegare missili contraerei che costano tra i 3 e i 4 milioni l'uno. Si tratta di armi costruite da componenti al 99% europee. Ma la guerra di trincee in Europa ha risvegliato soprattutto gli ordini sul dominio terrestre. Leonardo qui installa i cannoni e l'elettronica sui mezzi corazzati richiesti dall'esercito: oltre 500 VBM Freccia per il trasporto della fanteria e 150 Centauro 2, mezzi di ricognizione su cui c'è anche l'interesse del Brasile. Siamo sulla pista di collaudo carri, qua a La Spezia, questo è un Centauro 2 che sta facendo i test, un mezzo che ognuno di loro costa alcuni milioni di euro, prodotto tra Bolzano e La Spezia in un consorzio tra Iveco e Leonardo. Lo stabilimento ospita anche l'aggiornamento di 125 carri armati Ariete dell'Esercito Italiano, progettati ormai negli anni '80, e che oggi, secondo lo stesso Stato Maggiore, non risulta ormai operativo in due mezzi su tre. Ulteriori ordini potrebbero poi arrivare dal Ministero della Difesa per gli obici d'artiglieria che l'Italia ha donato in parte all'Ucraina. E poi la grande commessa del futuro. A La Spezia saranno finalizzati quasi 300 carri armati di nuova generazione e oltre 1.000 mezzi corazzati di fanteria che nasceranno dall'alleanza tra Leonardo e la tedesca Rheinmetall. Le prime consegne partiranno quest'anno e termineranno nel 2040. L'ex Oto Melara sarà la sede operativa della joint venture che vale 23 miliardi di euro. Qui sarà montato sui Panther e i Lynx tedeschi il cuore elettronico italiano dei sistemi di comunicazione e di puntamento. Una scelta di compromesso tra la volontà di mantenere tecnologia e occupazione in Italia e la necessità di non frammentare ulteriormente la difesa europea sviluppando da zero un nuovo carro armato nazionale. "Quello che abbiamo fatto assieme a Rheinmetall è un primo step verso una ricerca di un'unificazione dell'industria della difesa europea, nel senso di utilizzare in più Paesi prodotti che siano uguali tra di loro, in maniera tale da massimizzare la comunanza logistica e i fattori di scala, l'economie di scala, nell'ambito degli acquisti. Quindi questo è stato un primo step. Però è ancora vero che il mercato della difesa in Europa è estremamente frammentato". .