Cercare la verità è un mestiere difficile, spesso pericoloso. Il caso di Zhang Zhan, la giornalista che ha svelato al mondo l'inizio della pandemia a Wuhan in Cina è uno dei tanti esempi. L'ultimo bollettino diffuso da Reporter sans Frontiers sulla libertà di stampa nel mondo racconta che dietro le sbarre, passeranno questi ultimi scampoli dell'anno 387 giornalisti. L'organizzazione non governativa denuncia un aumento esponenziale della violazione della libertà di stampa e di arresti arbitrari dovuti a motivi legati al virus. Oltre il 60% dei giornalisti sono ritenuti in cinque paesi, Cina, Egitto, Arabia Saudita, Vietnam e Siria. Giornalisti arrestati, oppure tenuti in ostaggio, come accade per 54 colleghi. Di altri quattro invece non si hanno più tracce. Da 31 anni a questa parte, da quando Reporters sans frontières ha iniziato a monitorare la libertà di stampa, sono aumentate del 35% anche le giornaliste donne finite dietro le sbarre. La maggior parte di queste sono detenute nelle carceri bielorusse e iraniane. Ritorsioni, paura, omicidi mirati, destini tragici che incrociano quelli dei 50 reporter uccisi in questo 2020, per la maggior parte in Paesi in cui non ci sono guerre. Il luogo più pericoloso si conferma in Messico dove sono stati 13 i reporter che hanno perso la vita. Solo a novembre due giornalisti messicani sono stati uccisi nel giro di 10 giorni mentre indagavano su alcune morti sospette e sulle istituzioni locali. Julio Valdivia Rodrigues e Victor Fernando Alvarez Chavez, torturati e ammazzati in maniera brutale come avvertimento anche per i loro colleghi come Kesh Singh Nirbhik che in India è stato bruciato vivo per aver denunciato la corruzione dei poliziotti.