Nessuna accusa precisa ma una formula estremamente vaga che appare essere l'ulteriore conferma della volontà del Governo iraniano di usare Cecilia Sala come moneta di scambio. La giornalista italiana infatti è stata fermata a Teheran lo scorso 19 dicembre perché secondo le autorità locali ha violato la legge della Repubblica Islamica come si legge nello scarno comunicato diffuso dal Ministero della Cultura in cui si conferma l'arresto, si dà conto dell'apertura di un'inchiesta e si specifica infine che la donna era arrivata nel Paese il 13 dicembre con un regolare visto di lavoro. Mentre il Ministero degli Esteri iraniano ha consegnato alla nostra ambasciata a Teheran una lista di legali tra i quali la Sala dovrà scegliere il suo avvocato difensore. La donna si trova da 12 giorni rinchiusa nel famigerato carcere di Evin, e il pacco consegnato lo scorso 27 dicembre dall'ambasciatrice italiana Paola Amadei alla struttura dove vengono detenuti anche dissidenti politici e contenente indumenti e oggetti per l'igiene, sigarette e la mascherina per coprire gli occhi, Considerando che nella cella d'isolamento dove è rinchiusa le luci restano perennemente accese, è stato consegnato alla giornalista solo nelle ultime ore. Trattative complesse per il suo rilascio dunque, legate al caso dell' ingegnere iraniano arrestato in Italia su quale pende la richiesta di estradizione negli Stati Uniti. Del resto è stato lo stesso Vice Ministro degli Esteri iraniano a menzionarlo durante il colloquio con la Amadei. Proprio Washington non a caso e oltre a Teheran è l'interlocutore di Roma in questa trattativa che per ammissione del Governo resta estremamente delicata. Il lavoro della diplomazia e dell' Intelligence prosegue senza sosta per riportare Cecilia a casa il prima possibile spiegano da Palazzo Chigi anche attraverso l'espulsione della Sala dall'Iran, ipotesi plausibile considerando proprio l'assenza di accuse precise nei suoi confronti.