Nessun genere di prima necessità, compresi i suoi occhiali da vista, tantomeno la mascherina da indossare per permetterle di dormire nella cella di isolamento, dove la luce al neon resta perennemente accesa. A Cecilia Sala le autorità del famigerato carcere di Evin a Teheran, non hanno mai consegnato le forniture portate dalla nostra ambasciata alla giornalista italiana, detenuta dallo scorso 19 dicembre, ma le hanno permesso nuovamente di telefonare alla madre, al padre e al accompagno per raccontare le sue reali condizioni in cella, forse proprio per rafforzare la pressione sull'Italia in merito alla situazione dell'ingegnere iraniano detenuto nel carcere di Opera a Milano, vicenda che sempre più appare come il vero motivo che avrebbe portato all'arresto della nostra connazionale. "Dormo per terra, al freddo, su una coperta, non c'è il materasso, il gelo è pungente", spiega la giornalista proprio all'ambasciatrice italiana Paola Amedei, le autorità iraniane avevano assicurato che le condizioni carcerarie riservate alla Sala sarebbero state dignitose. I metodi però sembrano essere gli stessi destinati alle dissidenti politiche detenute ad Evin, che affrontano inoltre pesanti violenze e torture. Rivelazioni quelle di Cecilia che hanno spinto la Farnesina ad un passo più concreto verso Teheran, chiedendone la liberazione immediata e garanzia totali sulle sue condizioni di detenzione. Con il regime iraniano che ancora non specifica le cose per cui l'ha fatta arrestare, fermandosi alla formula estremamente vaga del "ha violato le leggi della Repubblica islamica". E se il suo destino è legata quello di Mohammad Abedini Najafabadi, arrestato a Malpensa il 16 dicembre, e in attesa di una decisione sulla richiesta di estradizione avanzata dagli Stati Uniti, appare chiaro che i trattamenti riservati ai due sono diametralmente opposti.