Sono due facce della stessa medaglia: quelle che da una parte possono apparire contraddizioni, dall'altra diventano mirabili successi di Realpolitik. Il bilancio del G20 di Delhi ne è pieno. Tutti ne escono bene. Nella dichiarazione finale, siglata dai Venti Grandi, si afferma solennemente il No alle armi in Ucraina, e si chiede la pace; ma genericamente, mica alla Russia, seduta lì accanto col suo Ministro degli Esteri. Per gli Stati Uniti il messaggio è chiaro anche se non scritto. Se lo fosse stato, per la prima volta il G20 non avrebbe prodotto alcuna dichiarazione condivisa. L'India e il suo Premier Modi, che hanno abilmente utilizzato questo palcoscenico per proiettare una grandiosa immagine di sé stessi dentro e fuori dal Paese, non potevano permetterselo. Il senso di questi summit globali però è nei rapporti personali. Accade così che il Presidente americano Biden saluti calorosamente il Principe saudita bin Salman col quale ha chiuso un profittevole accordo per un corridoio infrastrutturale dall'India all'Europa, esattamente un anno dopo avergli dato dell'assassino per l'omicidio del giornalista Khashoggi. O che il Presidente turco Erdogan riprenda a parlare con l'egiziano al-Sisi dopo che i due Paesi avevano smesso di farlo da 10 anni. O ancora che il Primo Ministro britannico Sunak fermi il suo omologo cinese per lamentarsi di attività di spionaggio dopo l'arresto di due agenti di Pechino a Londra. Incontrarsi faccia a faccia, insomma, serve. Due settimane fa Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica hanno allargato il gruppo dei Brics ad altri Paesi non allineati con Washington. Ma a Dehli Biden ha convinto Brasile, India e Sudafrica a sottoscrivere che anche per loro il G20 resterà il principale forum di cooperazione multilaterale. Il testimone passa adesso proprio al Brasile, che ospiterà il vertice il prossimo anno. Il Presidente Lula vuole che l'agenda dei lavori non venga sequestrata da questioni geopolitiche e quindi inviterà Putin, sul quale prende un mandato di cattura internazionale, garantendogli l'immunità. Anche se il suo Paese riconosce la Corte dell’Aja.